Cuneo– Una vicenda di ricatti, minacce e un tragico epilogo. Carmela Romano e Mario Miceli, una giovane coppia originaria di Nola , sono accusati di aver tormentato per mesi Alessandro Ghinamo, 39enne di Cuneo, spingendolo al suicidio nel 2019.
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Oggi il processo, celebrato nel tribunale di Cuneo, ha ripercorso gli ultimi, drammatici giorni della vittima, stretta nella morsa di un ricatto sentimentale culminato con la terribile frase: “Il 28 vengono i carabinieri a prenderti”.
Chiedeva solo un po’ di tempo in più, qualche giorno per raccogliere i soldi. A volte provava anche a ribellarsi, cercando di opporsi a richieste di denaro sempre più pressanti. “La legge è quella giusta, non come la fate voi a vostro piacere”, scriveva Alessandro Ghinamo, operaio 39enne di Cerialdo, in uno degli ultimi messaggi inviati prima di togliersi la vita. La risposta che riceveva era glaciale: “Vediamo chi vince, penso che sai che vince sempre la legge”.
Ma la legge, per Ghinamo, è arrivata troppo tardi. Nella notte tra il 19 e il 20 ottobre del 2019, l’uomo si è lanciato dal ponte nuovo di Cuneo. Aveva partecipato a una serata karaoke al circolo sociale di Trucchi, poi il silenzio. Nessuno, nemmeno gli amici più stretti, sapeva che da mesi, forse anni, viveva nel terrore: vittima di un ricatto online, originato da una truffa sentimentale su Facebook.
Secondo la ricostruzione della Squadra Mobile, Ghinamo sarebbe stato adescato da una donna conosciuta online con il nome di Francesca Di Marzio, che in realtà si chiamerebbe Carmela Romano, 22enne di Nola . Con lei a processo c’è il compagno, Mario Miceli, 26 anni, anche lui originario del Nolano. Per entrambi l’accusa è di estorsione aggravata, con l’aggiunta del reato di morte in conseguenza di altro delitto.
Romano, secondo gli inquirenti, utilizzava una carta Postepay su cui Ghinamo versava fino a 500 euro al mese, credendo di aiutare una ragazza di nome “Angela”, con la quale credeva di avere una relazione.
Ma dietro quel volto, c’era un piano ben orchestrato. Nelle chat Whatsapp tra i due imputati, ricostruite da un perito informatico, la vicenda appare in tutta la sua crudezza: “Visto Ghinamo? Me li ha mandati i soldi” scriveva Romano. “Brava, amore” rispondeva Miceli. E ancora: “Appena esce dall’ospedale me li faccio mandare. Se non paga più siamo rovinati”.
La truffa era accompagnata da minacce sempre più dure. Quando Ghinamo tentava di sottrarsi, venivano evocati falsi carabinieri, fantomatiche “carte di arresto” e la minaccia di svelare tutto alla madre. “State estorcendo soldi a un invalido civile” scriveva il 15 ottobre, quattro giorni prima della tragedia. “Anche quello è reato, pure per voi carabinieri”. L’ultima intimidazione è del 17 ottobre: “Il 28 vengono i carabinieri a prenderti. Ora sai tu come fare”. La risposta, disperata: “Come faccio a mettere i soldi che è tutto chiuso”.
Le indagini hanno rivelato che Ghinamo non era l’unica vittima. Anche un 50enne veronese ha raccontato di essere stato truffato da una presunta escort, “Julie Bianchi”, che per mesi gli ha chiesto denaro per un incontro mai avvenuto. I pagamenti finivano su carte intestate a conoscenti della coppia campana. Nelle chat tra Romano e Miceli si parla anche di lui: “È nu scem”, lo liquidava lei.
Il processo a carico di Romano e Miceli è in corso. Al centro, non solo l’accusa di estorsione, ma anche il peso psicologico esercitato su un uomo fragile, portato alla disperazione da chi ha saputo sfruttare debolezze e sentimenti per tornaconto personale.
Dalle indagini della Polizia è emerso che Ghinamo era stato adescato da una sedicente Francesca Di Marzio – in realtà la Romano – che lo convinceva di essere coinvolto con una certa “Angela”, una donna con cui avrebbe avuto una relazione. Attraverso chat e messaggi, gli estorsori gli intimavano pagamenti mensili fino a 500 euro, minacciando di denunciarlo alle autorità se non avesse obbedito.
“Mi serve un contatto falso, Ghinamo me li manda fino a marzo i soldi: devo iniziare a farlo innamorare di qualcun’altra”, scriveva la ragazza in uno dei messaggi rinvenuti. Per aumentare la pressione, gli comunicavano falsamente l’esistenza di una “carta d’arresto” già emessa a suo carico. Lui, sempre più angosciato, cercava di guadagnare tempo: “Sono in difficoltà con la famiglia”, rispondeva, ma le minacce continuavano.
Due giorni prima del suicidio, il 39enne ricevette l’ultimo, agghiacciante messaggio: “Il 28 vengono i carabinieri a prenderti”. Una condanna senza via d’uscita che potrebbe averlo spinto al gesto estremo. Dopo la sua morte, gli investigatori hanno scoperto le prove dei versamenti su una carta prepagata intestata alla Romano, nonché i riferimenti a un secondo ricattato, un 50enne veronese che oggi ha testimoniato in aula.
I due imputati, all’epoca dei fatti 22enni e 26enni, dovranno ora rispondere di estorsione aggravata. Una storia che solleva domande sulle trappole del cyber-ricatto e sui drammi silenziosi di chi, intrappolato nella rete della paura, non vede altra via di fuga.
(nella foto il luogo del suicidio e la vittima Alessandro Ghinamo)
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