Antonietta Barbato
Un secolo di vita celebrato con affetto e riconoscimenti istituzionali per Antonietta Barbato, storica residente del quartiere Ponticelli, nel cuore della VI Municipalità di Napoli.
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La “nonna del quartiere”, come viene affettuosamente chiamata da tutti, ha festeggiato oggi i suoi 100 anni con una cerimonia che ha coinvolto il Comune di Napoli e la comunità locale.
Nata il 7 aprile 1925 ma registrata all’anagrafe tre giorni dopo, nonna Antonietta ha ricevuto questa mattina – 10 aprile – un fascio di rose, una medaglia celebrativa e una lettera personale a firma del sindaco Gaetano Manfredi. A consegnarle il riconoscimento, l’assessore allo Sport Antonio Mastroianni e il consigliere Salvatore Palantra, entrambi rappresentanti della VI Municipalità.
Lucida a tratti, ma con ricordi vividi della sua infanzia, Antonietta racconta gli anni della scuola elementare sotto il regime fascista: i banchi rigidi, i pochi libri, e quella “bella calligrafia” che ancora oggi attribuisce alla sua amata maestra.
È stata una “piccola italiana” dell’Opera Nazionale Balilla, e crescendo ha vissuto il dopoguerra con lo spirito di chi non ha mai dimenticato il valore della democrazia.
Come in un film, ricorda le ronde sotto le finestre, l’olio di ricino, e poi il voto, conquistato insieme a sorelle e amiche, con una determinazione che oggi racconta con orgoglio e lucidità.
Sposò un uomo originario del Cilento, arruolato nella Seconda Guerra Mondiale e fatto prigioniero per tre lunghi anni. Dal matrimonio sono nati tre figli: Gennaro, Nino e Maria Rosaria, seguiti da una numerosa famiglia di nipoti.
Antonietta è stata una vera “casalinga multitasking analogica”: cuciva cappotti e maglioni, sfornava dolci, e realizzava ricami con estrema precisione. Nel cuore, una passione immutata per la musica napoletana classica e la lirica, in particolare per la voce di Maria Callas, la sua icona.
La sua figura è diventata nel tempo un punto di riferimento per la comunità di Ponticelli, simbolo di resilienza, dolcezza e tradizione. La sua storia è un frammento prezioso della memoria collettiva di Napoli, una testimonianza vivente del secolo appena trascorso.
In tempi di crisi sociale e smarrimento identitario, figure come la sua ci ricordano l’importanza delle radici, della memoria e del saper fare con poco. Non è solo una festa: è una lezione di vita.
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