A palazzo Martinengo di Brescia la mostra “La Belle Époque” accoglie le opere di molti maestri italiani Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos e Mancini, che, con il loro estro creativo, seppero attingere agli stimoli culturali parigini una nuova versatilità artistica per raccontare gli anni della trasformazione europea, della speranza, del benessere che dilagava, dei cambiamenti sociali, della malinconia struggente a ridosso di eventi storici imponenti, irreversibili e tremendi come la prima Guerra mondiale.
Benessere, raffinatezza e seduzione si sprigionano dai sorrisi maliardi di nobildonne, borghesi, modelle, incarnazione e promessa di lusso, potere e sfrontatezza; non tutte seducono in modo discreto, incarnano molto spesso il fascino dell’ “eterno femminino” perverso, da Salomè in poi fino a Eleonore Duse di D’Annunzio, con malizia e consapevolezza dei propri mezzi e della propria appartenenza sociale.
Alcuni artisti raccontano invece lati oscuri dell’esistenza e della società, gli sconfitti, gli ultimi, gli indesiderabili, i folli, rappresentando una sorta di controcanto mesto rispetto al trionfalismo delle classi agiate, adornate di abiti da sera, gioielli, piume, sete e fatuo sentire (Antonio Mancini, Autoritratto della follia).
La pubblicità nella mostra occupa uno spazio importante non a caso: l’industrializzazione con la conseguenziale necessità di vendere rendeva necessaria la comunicazione di massa o persuasione occulta finalizzata alla vendita. Da allora a oggi non è cambiato poi molto: per vendere funzionano le stesse idee; convincere il piccolo grigio consumatore che acquistando il dato prodotto potrà diventare bello, potente e felice come i testimonial dei manifesti, ritratti in seducenti colori vinilici e scioccanti, creati appositamente per scuotere le coscienze e i desideri degli italiani che finalmente si affacciavano alla possibilità di consumare e acquistare in modo compulsivo rispetto alla seriosa parsimonia delle generazioni precedenti.
La Belle Époque correva ruggente spensierata e audace verso il futuro: sappiamo come andò a finire.
prof. Romano Pesavento
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