Buenos Aires – “Diego mi chiedeva sempre aiuto. Aveva paura di tutto. Mi diceva: ‘Portami con te'”: le parole strazianti di Veronica Ojeda, ex compagna di Diego Armando Maradona e madre del suo ultimo figlio, Diego Fernando, hanno scosso la nona udienza del processo sulla morte del Pibe de Oro.
La donna, in lacrime, ha ripercorso gli ultimi giorni di vita dell’ex campione, puntando il dito senza esitazioni contro l’equipe medica che avrebbe dovuto prendersi cura di lui. Secondo Ojeda, Maradona era “sequestrato” nelle sue ultime settimane di vita.
Dopo un riavvicinamento nel 2020, iniziato su sollecitazione di un massaggiatore (“sei l’unica che può salvarlo”), la donna racconta di aver assistito a un rapido peggioramento delle condizioni psico-fisiche di Diego, in particolare dopo l’intervento alla Clinica Olivos e il successivo ricovero domiciliare: “Ci dissero che sarebbe stato come in ospedale, ma non era così”.
Veronica ha descritto due visite. La prima, serena, con un Diego “ancora lucido, felice di giocare con il figlio”. Ma la seconda, il 23 novembre 2020, due giorni prima della morte, è stata devastante: “L’ho trovato da solo, gonfio, sfigurato. Una guardia del corpo e un’infermiera leggevano in soggiorno. Gli ho chiesto: ‘Cosa ti è successo?’”.
In aula anche Mario Schiter, cardiologo che nel 2000 curò Maradona a Cuba, e partecipò all’autopsia richiesta da Claudia Villafañe, altra ex moglie del Diez. Schiter ha criticato la scelta del trattamento a casa: “Era una soluzione rischiosa. Diego non era un paziente facile, serviva una struttura protetta, non un appartamento”.
Il processo si fa sempre più acceso, con testimonianze che gettano nuove ombre sull’ultimo periodo di vita di una delle icone più amate – e controverse – della storia del calcio. Tra lacrime, rabbia e parole che pesano come macigni, si cerca ora una verità che renda finalmente giustizia a Diego Armando Maradona.
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