Napoli – Un intricato scenario di alleanze criminali e controllo delle piazze di spaccio emerge dall’inchiesta che ha portato a otto misure cautelari nei confronti di presunti elementi di vertice e affiliati al gruppo del Rione don Guanella, costola del potente clan Licciardi.
Le indagini della polizia, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda), hanno fatto luce sull’efferato omicidio di Domenico Gargiulo, ricostruito in maniera dettagliata anche grazie alle preziose immagini delle telecamere di videosorveglianza.
La misura cautelare, firmata dal Gip di Napoli Linda Comella, forte di ben 498 pagine, non solo delinea la struttura e i rapporti del clan Licciardi con altre consorterie criminali – un sodalizio geloso della propria autonomia e basato sulla cieca fedeltà – ma svela anche la gestione di lucrose attività illecite, tra cui fiorenti piazze di spaccio e il mercato delle auto usate.
Al centro dell’inchiesta, spiccano le responsabilità di Antonio Bruno, ritenuto il mandante, insieme al ras Gennaro Antonio Sautto, dell’omicidio di Domenico Gargiulo. Un’esecuzione decisa, secondo gli inquirenti, per preservare e consolidare “rapporti di alleanza” strategici tra i clan.
Le prove raccolte non si limitano alle intercettazioni ambientali e telefoniche, ma si avvalgono anche di eloquenti filmati di videosorveglianza e delle rivelazioni di collaboratori di giustizia di primo piano.
Tra questi, figurano i fratelli Antonio, Carlo, Mario e Salvatore Lo Russo, ex capi dell’omonimo clan di Miano legato ai Licciardi, Giuseppe Ambra e Luigi Rignante, affiliati agli Abete-Abbinante-Notturno, Antonio Cocci e Vincenzo Iuorio, legati ai Sautto-Ciccarelli, e Salvatore Roselli. Un mosaico di dichiarazioni che ha contribuito a ricostruire la complessa dinamica criminale.
Antonio Bruno, soprannominato “Michelo'”, il cui ruolo di spicco trascende la leadership del gruppo del Rione don Guanella, è legato da vincoli familiari al cuore del clan Licciardi: è sposato con Marianna Cibelli, sorella di Nunzia, moglie di Pietro Licciardi, figlio ed erede del fondatore del clan, Gennaro “a scigna”.
L’omicidio di Domenico Gargiulo affonda le radici in dinamiche criminali risalenti al 2012, quando la vittima transitò dagli Abete-Abbinante-Notturno ai Marino durante la terza faida di Secondigliano.
Già all’epoca, gli Abbinante avevano decretato la sua morte, e Gargiulo era miracolosamente scampato a due agguati. Il primo, il 15 ottobre 2012, si concluse con l’uccisione per errore di Pasquale Romano, un giovane estraneo alla camorra.
Il secondo, il 9 novembre successivo, fallì per un malfunzionamento dell’arma del killer. Successivamente, Gargiulo si era avvicinato ai Sautto-Ciccarelli, legati ai Licciardi, circostanza avvalorata dal fatto che l’auto utilizzata per recarsi nel luogo della trappola era stata noleggiata proprio da Vincenzo Iuorio, poi divenuto collaboratore di giustizia.
La “giustizia” camorristica si consumò con un unico, letale colpo alla nuca, sparato alle spalle, forse mentre la vittima era inginocchiata, come suggerirebbe un’escoriazione al ginocchio riscontrata dal medico legale.
Il tragitto percorso da Gargiulo a bordo della sua auto (diversa da quella rubata e ritrovata successivamente con il cadavere nel bagagliaio) per raggiungere l’appuntamento con i suoi assassini è stato meticolosamente documentato dalle telecamere di videosorveglianza di Secondigliano, a partire dalle 17:51 del 7 settembre 2019.
La sua vettura, chiaramente riconoscibile con lui a bordo in maglietta bianca e cappellino rosso, transita nella zona di residenza di Bruno. L’auto riappare nelle riprese alle 19:30, sebbene non sia possibile identificare chi si trovi alla guida.
Già nel 2020, Vincenzo Iuorio aveva fornito ai magistrati dettagli cruciali sul movente e gli autori dell’omicidio. Tuttavia, le immagini delle telecamere hanno riacceso i riflettori su Antonio Bruno, Vincenzo Caiazzo e Vincenzo Pernice, corroborando il racconto del collaboratore di giustizia, altre testimonianze e ulteriori elementi investigativi raccolti nel corso degli anni.
Caiazzo e Pernice sono stati identificati anche grazie a fotogrammi che li ritraggono a bordo di uno scooter, percorrendo lo stesso itinerario di Gargiulo, in orari coincidenti con l’andata all’appuntamento e il ritorno nella direzione in cui verrà ritrovata la sua auto.
Domenico Gargiulo pagò con la vita non solo il suo cambio di alleanza, ma anche la condanna del nipote del boss Antonio Abbinante per la morte di Pasquale Romano e, soprattutto, le delicate dinamiche di potere e i rapporti che il clan Licciardi intendeva preservare con i Sautto-Ciccarelli e gli stessi Abbinante.
Un omicidio che svela la spietata “diplomazia” criminale che regola gli equilibri della camorra napoletana.
Articolo pubblicato il giorno 24 Aprile 2025 - 06:57