Napoli – Da un lato l’inconsapevole confessione del killer e dall’altra quella vittima, che ricoverata in ospedale mentre parla con i familiari e non sapendo che pochi giorni dopo sarebbe morto, indica il nome chi gli ha sparato, lo prende in giro e promette vendetta.
Punti Chiave Articolo
- 1 Le impronte di Giuseppe Ceci sull’arma del delitto
- 2 Il desiderio di vendetta di Antonio Gaetano: ” lo devo far diventare “Findus”
- 3 Il padre di Gaetano in ospedale: “Quando vengono le guardie, devi dire che non ti ricordi niente”.
- 4 La confessione del killer intercettata
- 5 L’intercettazione in Questura del testimone: “Chillu scem ro bar…”
- 6 La frase rivolta alla mamma di Antonio Gaetano: “È iss proprio… per me 100%, signò, se mi volete credere”.
Un quadro accusatorio dettagliato quello che ieri ha portato all’emissione cautelare per omicidio a carico di Emanuele Bruno, 24 anni, detto “recchiolone” legato al clan Carillo di Pianura, firmata dal gip Luca Battinieri.
Con la stessa ordinanza sono stati colpito un’altra dozzina di camorristi dei due clan in lotta a Pianura, ovvero i Marsicano e i Carrillo.
L’omicidio è quello del baby boss Antonio Gaetano detto biscotto, uomo di vertice della cosca emergente dei marsicano ferito a colpi di pistola la sera del 12 marzo 2023 presso gli chalet di Mergellina e poi deceduto il 23 marzo in ospedale dopo un breve miglioramento clinico durato solo due giorni.
Una frase intercettata casualmente, all’interno di una sala scommesse a Pianura, ha acceso il faro sull’omicidio di Antonio Gaetano, conosciuto nel quartiere come “Biscotto”. È lì, davanti a un amico, che Emanuele Bruno – detto “Recchiolone” – si lascia sfuggire un’ammissione che, per gli inquirenti, suona come una confessione.
La conversazione, registrata grazie a un trojan installato nel suo cellulare, si aggiunge a una lunga serie di elementi raccolti dalla Squadra Mobile e dalla Direzione Distrettuale Antimafia.
Le impronte di Giuseppe Ceci sull’arma del delitto
Bruno è al momento l’unico indagato per l’agguato. Sebbene siano state trovate impronte di Giuseppe Ceci sull’arma del delitto, una pistola calibro 9×19, la DDA non ritiene ci siano prove sufficienti per coinvolgerlo. L’ipotesi è che Bruno abbia agito con un complice ancora ignoto.
L’identificazione di “Recchiolone” è avvenuta grazie a diversi tasselli: testimonianze raccolte sul posto, le parole dello stesso Antonio Gaetano prima di morire, e una fitta rete di intercettazioni ambientali e telefoniche che hanno svelato la rete di omertà costruita attorno all’agguato.
Il desiderio di vendetta di Antonio Gaetano: ” lo devo far diventare “Findus”
Durante i suoi ultimi giorni all’ospedale San Paolo, il giovane Gaetano – inizialmente ricoverato in rianimazione e poi trasferito in reparto – ha raccontato ai familiari ciò che ricordava dell’attacco. Le microspie installate nella stanza hanno registrato tutto.
“Perché poi Recchiolone m’accir a me… ma comm è, eh?” diceva alla madre e al padre, Gennaro Gaetano. Aggiungeva, con stupore e rabbia, che l’agguato era stato compiuto da chi “lavorava al bar”. Con il tempo, ha anche fornito un altro soprannome: “Bastoncino”, poi deformato in “Bastoncione”, e infine in “Findus”, simbolo di vendetta.
Il padre di Gaetano in ospedale: “Quando vengono le guardie, devi dire che non ti ricordi niente”.
Nonostante i ricordi dettagliati, quando è stato ascoltato ufficialmente dalla polizia, Antonio ha negato tutto. A convincerlo al silenzio sarebbe stato proprio il padre, come emerge chiaramente da un’intercettazione: “Quando vengono le guardie, devi dire che non ti ricordi niente”.
Anche gli altri familiari, interrogati dagli investigatori, hanno taciuto quanto appreso dal ragazzo, come confermato dalle registrazioni a bordo della Fiat Croma in uso allo zio Giuseppe, intercettata dopo gli interrogatori. Le loro frasi rivelano una volontà ambigua: da un lato l’intenzione di non “tradire” il codice camorristico, dall’altro il desiderio di indirizzare le indagini verso la verità, senza esporsi.
Il tassello decisivo arriva però con una nuova intercettazione, ambientale e video, nella sala scommesse Eurobet di Corso Duca d’Aosta. Bruno, parlando con Andrea Lapillo, dipendente del bar San Giorgio dove lavorava, ammette esplicitamente di aver sparato a “Biscotto” con una pistola 9×19. Una confessione che coincide con i rilievi balistici effettuati sul luogo del delitto.
La confessione del killer intercettata
Il 4 agosto 2023, in una sala scommesse di Pianura, Bruno – ignaro di essere sotto controllo – parlò con un amico:
«Noi lo sparammo con la 9×19», ammettendo di aver usato la stessa pistola ritrovata sul posto. Le telecamere del locale hanno immortalato il dialogo.
Tre fonti quindi convergono sulla responsabilità di Emanuele Bruno: i racconti captati nella stanza d’ospedale, il riconoscimento fotografico da parte dei parenti e l’ammissione diretta registrata a sua insaputa. Un quadro indiziario che, per la Procura, porta dritto a lui.
L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, è tuttora in corso per identificare il complice ancora ignoto di Bruno.
L’intercettazione in Questura del testimone: “Chillu scem ro bar…”
Ma ci sono anche altre frasi intercettate e che portano alle responsabilità del killer Emanuele Bruno. E’ la notte dell’agguato e negli uffici della Questura vengono convocati madre, padre, due zii e un cugino di Antonio Gaetano e soprattutto Salvatore Esposito l’amico che era con lui al momento degli spari e che lo aveva accompagnato in ospedale.
Il racconto di Esposito, testimone oculare, si distingue per chiarezza e precisione. Con disarmante onestà, ammette di aver riconosciuto solo uno dei due complici: “Chilu scem ro bar… quello che portava il caffè”. Sul secondo individuo, Esposito è cauto: “Ti dico la verità, quell’altro non l’ho proprio visto, ma posso immaginare ci fosse un’altra persona con lui”.
La sua insistenza nell’identificare “quello scemo del bar” come l’autore del delitto convince gli inquirenti. Quando uno degli zii di Antonio Gaetano gli chiede se si riferisca a “Emanuele recchiolone”, Esposito risponde con fermezza: “Eh!”.
La frase rivolta alla mamma di Antonio Gaetano: “È iss proprio… per me 100%, signò, se mi volete credere”.
Rivolgendosi poi a Maria D’Amico, madre di Gaetano, rafforza la sua testimonianza: “È iss proprio… per me 100%, signò, se mi volete credere”. Tre elementi – il soprannome, il lavoro al bar e il riconoscimento diretto – convergono su un unico nome: Emanuele Bruno. Le indagini proseguono per chiarire il ruolo del presunto complice e consolidare le accuse.
(nella foto la zona degli chalet di Mergellina e nei riquadri la vittima Antonio Gaetano. e il presunto killer Emanuele Bruno)
Articolo pubblicato il giorno 15 Aprile 2025 - 13:53