Un tragico record si sta consumando tra le mura delle carceri italiane. Ieri, un detenuto di 48 anni, tossicodipendente e di origini campane, si è tolto la vita nel carcere di Avellino.
Un gesto estremo che si aggiunge a quello di un egiziano di 30 anni a Trieste e di un italiano di 70 anni a Genova, portando a tre i suicidi registrati in un solo giorno.
Negli ultimi otto giorni, il bilancio è salito a sei vittime (due a Verona e una a Foggia), mentre dall’inizio dell’anno si contano già 24 casi. Un trend allarmante che rischia di superare il record del 2023, l’anno più nero con 91 suicidi.
“Morire in carcere non può essere derubricato a evento ordinario”, denuncia Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato dei Penitenziari Polizia (S.PP.).
“Si conferma l’identikit del detenuto suicida che abbiamo delineato in questi giorni: sempre più giovane, con un’età media che nel 2024 si è abbassata alla fascia under 35, spesso affetto da problemi mentali. I suicidi tra i detenuti con disagio psichico sono aumentati del 40%, e molti di loro non avrebbero dovuto trovarsi in istituti penitenziari”.
Tra le categorie più a rischio, spiccano i tossicodipendenti, che rappresentano un terzo della popolazione carceraria, e gli stranieri, in particolare nordafricani. Alcune carceri, come quelle di Modena, Verona, Napoli Poggioreale, Firenze Sollicciano, Palermo Pagliarelli e Foggia, registrano un numero di decessi particolarmente elevato, richiedendo interventi urgenti e mirati.
Di Giacomo sottolinea l’urgenza di un piano di supporto psicologico, con la presenza costante di psicologi, psichiatri, mediatori culturali e interpreti. “La mancanza di comunicazione incide profondamente”, afferma.
Il sindacato propone da tempo l’apertura di uno sportello di aiuto psicologico in ogni struttura, insieme alla promozione di attività sociali, lavorative e corsi di formazione, specialmente per i detenuti extracomunitari.
“C’è chi parla della necessità di un ‘sussulto umanitario’”, prosegue Di Giacomo. “Per noi, è indispensabile un sussulto dell’Amministrazione Penitenziaria e della politica. Non bastano le ‘lacrime di coccodrillo’ in queste circostanze. L’emergenza ha superato il punto limite: lo Stato è incapace di garantire la vita delle persone che ha in custodia e la sicurezza del personale, oggetto di quotidiane aggressioni”.
Il segretario del S.PP. ricorda l’esistenza di misure alternative che, oltre a prevenire la reiterazione dei reati, favoriscono il reinserimento sociale. “Non si tratta di scorciatoie o concessioni buoniste, ma di un dovere costituzionale. Servono però strumenti e finanziamenti mirati, oltre alla collaborazione degli enti locali e dell’amministrazione penitenziaria”.
La situazione è ormai insostenibile. Il carcere, da luogo di rieducazione, rischia di trasformarsi in un teatro di disperazione. E mentre il numero dei suicidi continua a salire, la politica sembra voltare lo sguardo altrove.
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