Le parole di Anna, madre napoletana di due adolescenti, risuonano come un’amara constatazione: “Quella madre potrei essere io. Solo che qui non è una serie: è ogni giorno”. È bastata una puntata di Adolescence, la miniserie britannica che racconta il dramma di un tredicenne travolto dalla giustizia e dal linciaggio mediatico, per far emergere nelle famiglie napoletane un senso di inquietante familiarità.
Non si tratta di una semplice fiction: per molti genitori, è la cruda realtà. Mentre sullo schermo il giovane Jamie viene accusato dell’omicidio di una coetanea e finisce nel vortice della gogna social, a Napoli e nelle città vicine si registrano risse tra minorenni, coltelli nascosti negli zaini, pestaggi scaturiti da un insulto. La finzione arriva dopo i fatti, ma il suo impatto è ancora più forte proprio perché somiglia troppo alla vita reale.
“Pensavamo bastasse stare attenti ai voti, alla scuola. Invece si chiudono in camera e si perdono in rete”, racconta Anna, con il timore di chi sente di aver perso il controllo. Franco, padre di tre figli, aggiunge con amarezza: “Siamo genitori a metà: li sfioriamo, ma non li conosciamo più. E quando succede qualcosa, è già tardi”.
A confermare questo disagio diffuso è anche chi i ragazzi li osserva tutti i giorni nelle aule scolastiche. Rosaria P., insegnante in una scuola media, racconta: “Li vediamo spegnersi piano. Non parlano, non reagiscono. Quando litigano è esplosione pura, spesso per una storia su Instagram. In classe portano silenzio, tensione e un malessere che a volte non trova parole”.
La serie Adolescence ha acceso i riflettori su un problema che molti genitori e insegnanti vivono quotidianamente: l’isolamento, la violenza improvvisa, la pressione dei social. E, soprattutto, la sensazione di non riuscire più a proteggere i propri figli da un mondo che sembra sfuggire di mano.
Articolo pubblicato il giorno 26 Marzo 2025 - 17:14