Pozzuoli – Se la notte è trascorsa tranuqilla (per modo di dire) e senza scosse la mattinata non è affatto iniziata nel migliore dei modi per gli abitanti dei comuni e delle zone flegre di Napoli.
Due scosse: una lieve alle 8.01 di magnitudo 1.1 mentre la seconda alle 8,53 di magnitudo 2.3 nitidamente avvertita dalla popolazione con epicentro in via Antiniana ad una profondità di 1,7 chilometri.
Intanto è stato appena pubblicato sulla rivista Journal of Volcanology and Geothermal Research lo studio ‘Chemical and isotopic characterization of groundwater and thermal waters from theCampi Flegrei caldera (southern Italy)’, a cura di un team dell’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv-Ov), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell’Università degli Studi di Palermo (UniPA-DISTeM), il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (UniNA-DiSTAR) e il Dipartimento di Scienze e della Terra dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (UniMiB-DISAT).
“Il lavoro rappresenta il primo studio esaustivo sulla geochimica della falda flegrea dal 2005 data di inizio dell’attuale crisi bradisismica e ha permesso di riconoscere i complessi processi che controllano le differenti caratteristiche delle acque, fra i quali l’aggiunta di gas vulcanico-idrotermali e i loro processi di degassamento, contribuendo alla definizione del modello geochimico del sistema”.
Così Stefano Caliro, dirigente tecnologo responsabile del monitoraggio geochimico dei vulcani campani presso l’Ingv-Ov, sottolineando come la comprensione di tali processi sia cruciale per il monitoraggio dell’attività vulcanica.
“Tra i risultati più interessanti – sottolinea Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca associato presso l’Ingv – vi è l’integrazione del modello concettuale con il modello fisico numerico del sistema, che prevede una risalita di gas nell’area Solfatara-Pisciarelli, e l’ identificare l’interazione tra fluidi vulcanici e acquiferi sulla base delle caratteristiche delle acque. Questa zona si conferma come il cuore dell’attività idrotermale della caldera”.
I processi geochimici identificati sono strettamente connessi, ma ognuno domina in regioni specifiche del sistema idrotermale, causando quindi, la grande variabilità nella composizione delle acque sotterranee all’interno della caldera.
Nei Campi Flegrei coesistono, infatti, acque fredde di origine meteorica, acque bicarbonate termali originate dalla interazione con i gas nelle aree periferiche del sistema, acque clorurate derivate da soluzioni saline ad alta temperatura, e, infine, acque sotterranee dell’area Solfatara-Pisciarelli, dove gioca un ruolo determinante la condensazione di vapore ricco di zolfo.
“L’indagine – aggiunge Alessandro Aiuppa, Professore presso l’Università di Palermo – ha avuto quindi lo scopo di comprendere meglio i processi chimici che influenzano la composizione delle acque sotterranee. Attraverso l’analisi di 114 campioni raccolti in un’estesa campagna di misure tra il 2013 e il 2014, abbiamo sviluppato un modello geochimico che ha permesso di descrivere l’evoluzione della interazione di acqua meteorica con soluzioni saline idrotermali e gas vulcanici durante il suo percorso sotterraneo”.
I dati raccolti hanno quindi permesso di sviluppare un modello concettuale avanzato utile per evidenziare e interpretare eventuali cambiamenti futuri nella chimica delle acque sotterranee e nella dinamica dei processi.
“I risultati di questo studio – conclude Mauro A. Di Vito, Direttore dell’Ingv-Ov – hanno permesso di progettare e realizzare una rete multiparametrica permanente di monitoraggio delle acque nella caldera, attiva dal 2018 e in continua evoluzione, che rappresenta uno strumento essenziale per rilevare modifiche nel sistema e riconoscere eventuali segnali della ripresa dell’attività vulcanica”.
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