Napoli- ‘Occorre restituire al Sud l’antica dignità di soggetto del pensiero’ la frase di Franco Cassano è stato il filo conduttore dell’incontro, organizzato dalla Cgil Napoli e Campania e Fondazione Di Vittorio, dal titolo ‘Viste da Sud che si è tenuto il 9 gennaio scorso a Napoli.
L’incontro, molto partecipato, ha aperto il programma del Piano di formazione sindacale dell’organizzazione di categoria per il 2025-2026, con l’intento di ripartire da Sud, o dai Sud, facendo un’analisi del passato guardando alle prospettive future e ai progetti da mettere in campo per restituire al Mezzogiorno la centralità necessaria nelle politiche economiche e di sviluppo della politica nazionale.
Cgil Napoli e Campania e Fondazione Di Vittorio hanno messo in campo un parterre d’eccezione per affrontare in maniera prospettica la ‘nuova questione meridionale’. Ha introdotto i lavori Clara Lodomini, segretaria Cgil Napoli e Campania, poi attraverso un percorso di analisi storica affidata ai professori Pier Giorgio Ardeni (Università degli studi di Bologna) e Giuseppe Iglieri (Università degli studi del Molise) la discussione ha affrontato l’analisi della situazione attuale con l’intervento appassionato delle professoresse dell’Università degli studi Federico II di Napoli, Giustina Orientale Caputo e Paola De Vivo.
Il segretario Generale della Cgil Napoli e Campania, Nicola Ricci, ha offerto uno spaccato dell’attuale situazione occupazionale ed economica della Campania. Luca Bianchi, direttore generale dello Svimez, ha illustrato – attraverso l’analisi dei dati economici degli ultimi anni – la direzione verso la quale andare per restituire al Mezzogiorno una centralità economica e di sviluppo in Italia e in Europa. Le prospettive sono state affidate a Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio e le conclusioni a Cristian Ferrari, segretario Cgil nazionale.
Punto centrale della discussione è stata la questione dell’Autonomia differenziata, proposta dalla legge Calderoli, che la Cgil sta contrastando attraverso il Referendum che si terrà nei prossimi mesi e il rischio reale che la legge aumenti – qualora non venga fermata – il divario economico e sociale tra Nord e Sud.
“Questa – ha spiegato Clara Lodomini, della segreteria CGIL Napoli e Campania – è un’iniziativa che rientra nel piano di formazione biennale della CGIL Campania 25/26, finalizzata ad accendere i riflettori sul Mezzogiorno. Abbiamo la necessità non soltanto di fare un’analisi della condizione presente ma vogliamo ripercorrere a ritroso la storia delle scelte politiche che hanno riguardato il Mezzogiorno, per capire quali sono state le ragioni del mancato e ritardato sviluppo. L’obiettivo è quello di riconnettere presente e passato per costruire il futuro della nostra azione sindacale”.
“Dobbiamo chiederci – ha continuato Clara Lodomini – se ha senso continuare a guardare alla questione meridionale solo come una grande questione nazionale, senza affrontare il problema che riguardi l’intero bacino del Mediterraneo e il futuro dei rapporti con il continente africano o senza cogliere la dimensione strategica delle politiche di coesione a livello europeo. In quest’ottica le riflessioni sulle politiche di sviluppo del Mezzogiorno diventano un ambizioso percorso culturale per interrogarci su dove stanno andando l’Italia, l’Europa e il mondo.
Se è vero che il Sud non è un deserto industriale, se è vero che ci sono aree del Mezzogiorno che hanno saputo reagire alla crisi economica in maniera più forte e dinamica di alcune realtà del Centro-Nord, è anche vero che questi risultati possono essere effimeri se non si investe sulla tutela della crescita del capitale umano, se non si innescano meccanismi capaci di trattenere energie, intelligenze, competenze”.
Il professore Pier Giorgio Ardeni si è soffermato sull’eterno dilemma dello sviluppo mancato o ritardato e se la storia poteva andare diversamente. Ardeni ha individuato tre momenti storici che hanno aumentato il divario tra Nord e Sud.
“Nella storia dello sviluppo italiano ci sono stati tre momenti storici in cui le traiettorie tra Nord e Sud hanno aumentato il divario: anni ’80-’90 di fine ottocento; il secondo negli anni ’20 del 900 e lil terzo negli anni ’50-’60 con una riforma fondiaria insufficiente in cui il Nord-Est si industrializza con la migrazione della manodopera proveniente dalle campagne del Sud. Per attenuare questo divario c’è stato il momento determinante dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, conclusosi nel 1992.
Oggi il divario c’è ed è aumentato. C’è, di nuovo, un blocco sociale che sembra preferire lo status quo, quindi bisogna ripensare allo sviluppo futuro”.
Lo storico Giuseppe Iglieri ha analizzato gli effetti dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno: “La parabola dell’intervento straordinario rappresenta una fase significativa della storia dello sviluppo economico italiano. In quel momento la questione Meridionale è stata messa al centro della politica nazionale, ma finito l’intervento, la questione Meridionale e la logica dell’intervento vengono criticate, quasi cancellate.
Si è alimentato da quel momento in poi il falso mito che le regioni meridionali devono farcela da sole, ma tolta quella ‘stampella’ si è preteso che Sud procedesse in maniera autonoma senza che nessuno gli avesse insegnato a camminare da solo. In questo spazio politico prima che economico è maturato il passaggio dalla questione meridionale alle questioni meridionali e si è alimentato un disequilibrio interno al Meridione.
Ora l’obiettivo è recuperare la questione Meridionale e la dinamica internazionale e diventare punto di riferimento nel Mediterraneo che ci proietterà nelle sfide del futuro. Dare priorità agli elementi fondamentali come l’acqua, per esempio, che per me rappresenta il ‘petrolio bianco’ di cui il Sud è ricco diventerà cruciale nelle economie internazionali. E poi bisogna elevare i problemi del Mezzogiorno a elementi di chiave nazionale. Un Sud nel pieno sviluppo può aiutare il Nord”.
La sociologa del Lavoro Giustina Orientale Caputo ha fatto un’analisi degli ultimi anni: “Qualità del lavoro, flessibilità, precarietà sono elementi che conosciamo tutti. Quello che mi spaventa in questo momento storico è che i giovani hanno un orizzonte a scadenza: la scadenza dei contratti. ‘Quando scadi’ è, purtroppo, diventato un modo di essere e di ragionare”. La professoressa si è poi soffermata sull’analisi storica del mercato del lavoro, con un paragone tra i dati del 1959 e quelli del 2024 in cui i valori di riferimento tra popolazione e tasso di occupazione praticamente sono sovrapponibili numericamente.
“Nel 1959 la popolazione residente è di 48 milioni, gli occupati erano 20 milioni. Nel 2024, rispetto a una popolazione di 59 milioni ci sono 24 milioni di occupati. Questo per dire che il mondo non è cambiato, è calato di poco il tasso di disoccupazione, ma sono passati 70 anni. Non volere ragionare sulle trasformazioni ha voluto dire che in questi anni la situazione è rimasta quasi uguale.
A grandi linee non abbiamo saputo o voluto intervenire sul mercato del lavoro. Quello che sta accadendo alla classe lavoratrice meridionale deve comportare necessariamente una riflessione sul cambio delle condizioni del lavoro”.
La professoressa Paola De Vivo ha fondato il suo intervento sulle prospettive di rilancio: “Bisogna avere delle visioni prospettiche, alle difficoltà oggettive dell’industria c’è necessità di affiancare un rilancio moderno e innovativo: rilanciare politiche sostenibili, lavorare senza inquinare, puntare sulla qualità del lavoro. Le politiche industriali si devono interrogare su quanto socialmente possano essere inclusive. E questo bisogna farlo anche attraverso la formazione, quella che state facendo voi qui e quella che facciamo noi con l’università.
Le politiche industriali devono essere legate alla politica della formazione che passa anche per le politiche scolastiche. Si parla tanto di ‘Genere’ in questo paese ma anche nella formazione non si è mai tenuto conto di questa parola. Bisogna tirare fuori gli inattivi, per la maggior parte donne, e gli inoccupati e farli diventare occupabili.
Quando andiamo ad analizzare le attuali politiche per lo sviluppo sembra che i contenuti vanno in una direzione e la realtà concreta va in un’altra direzione. Il rischio, con le attuali condizioni, è che non solo arretri il Mezzogiorno ma l’Italia intera, quindi il mio invito è quello di fare squadra per creare nuove occasioni di sviluppo”.
Il segretario generale della Cgil Napoli e Campania, ha posto al centro dello suo intervento l’attuale situazione della Regione e la necessità portare avanti la battaglia sull’Autonomia differenziata: “Al di là dei cambi di paradigma e delle narrazioni costruite sull’ottimismo, c’è da mettere al centro della discussione politica e sindacale una nuova questione del Mezzogiorno”.
Ha affermato Nicola Ricci. “La battaglia contro l’autonomia differenziata – ha aggiunto Ricci – va portata avanti. A partire dal governo, c’è una inconcepibile distrazione sulle crisi che stanno colpendo il Mezzogiorno. Il cambiamento è possibile, con politiche di sviluppo, aggredendo alcuni settori strategici.
Le vertenze che attualmente ci preoccupano riguardano l’aerospazio e l’automotive e tutte le piccole e medie imprese che sono in affanno e che non possono contare su una programmazione industriale adeguata per competere sui mercati internazionali. La Campania non può che essere protagonista in questa discussione e noi, come sindacato, siamo pronti a fare la nostra parte”.
Sulle prospettive future e sull’analisi del presente si è soffermato Luca Bianchi direttore generale di Svimez: ”Dopo un anno assolutamente positivo – ha affermato Bianchi – per il 2025 anche noi, come Svimez, registriamo un’inversione di tendenza.
Ci sono alcuni segnali di peggioramento che riguardano sia il mercato del lavoro, ma soprattutto anche il quadro di finanza pubblica e le politiche di risanamento che bisognerà mettere in atto con il piano di stabilità nuovo europeo”.
“Già la legge di bilancio 2025 – ha ricordato Bianchi – ha fatto segnare una riduzione delle risorse per il Mezzogiorno che noi abbiamo stimato intorno ai 5 miliardi nel prossimo triennio. Su questo impatta la riduzione della contribuzione Sud che era uno strumento fondamentale, che è stato in parte recuperato, ma fortemente depotenziato. Quindi il problema adesso è che rischiamo di essere un momento di svolta negativo”. Bianchi ha poi lanciato l’allarme decrescita per i tagli agli investimenti nel Mezzogiorno e per la legge di Autonomia differenziata voluta dal Governo Meloni.
“Il Sud non è come ce lo raccontano, non è un deserto industriale, la farmaceutica, l’aerospazio, la presenza dell’automotive sono risorse importanti. La storia ci dice che nel momento in cui si è cambiato l’atteggiamento verso il Mezzogiorno, si è invertita la rotta.
Nel post Covid si è risposto alla crisi con politiche espansive, politiche sul reddito (il reddito di cittadinanza di cui ha beneficiato oltre un milione di persone) abbiamo cominciato a investire, c’è stato un grande piano di investimento europeo, che partiva – dico io – da un principio meridionalista. Il piano ‘next generation’ europea ha imposto che si riducano le disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali che sono collegate tra loro.
Questo ha fatto sì che quel tipo di investimento insieme al sostegno al reddito facessero crescere il Sud come il resto del paese e il Nord più dell’Europa. Questo dimostra che se investi nel Sud investi in un territorio che fa crescere il resto dell’Italia.
Ci sono tanti problemi nel Mezzogiorno ma è un luogo che ha potenzialità importanti. Il Sud deve diventare polo industriale legato alla transizione energetica.
Politiche per lo sviluppo produttivo e politiche di cittadinanza vanno di pari passo. Ecco perché l’autonomia differenziata attacca i principi e spegne i sogni della costituzione, se i diritti saranno diversi sul territorio è molto difficile che questi ragazzi crescano”.
Un ponte tra passato e futuro è quello che ha costruito Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio nel corso del suo intervento, all’incontro ‘Viste da Sud’ tenutosi a Napoli. “I grandi processi di trasformazione che sono in corso – ha detto Sinopoli – ci assegnano un’enorme responsabilità.
Quella di avere la forza, il coraggio di mettere in discussione un modello di sviluppo che è insostenibile, che non andava imitato e che può vedere nel Mezzogiorno d’Italia e del mondo un’alternativa. L’unica alternativa per consegnare il mondo alle generazioni future. Serve un’altra idea di società, un’altra idea di democrazia partecipata, condivisa, e occorre ripensare letteralmente le basi dello sviluppo, mettere in discussione la parola stessa sviluppo per come è stata connotata negli ultimi 70 anni.
Nel nostro progetto futuro deve esserci un’idea di sviluppo, consapevoli che lo sviluppo inteso come capitalismo selvaggio è distruttivo dell’umanità. Aveva ragione Cassano che nella modernità aveva prevalso un certo tipo di capitalismo, ma quell’idea di capitalismo non è più sostenibile, per noi e per le persone che rappresentiamo.
Abbiamo bisogno di pensare ad un altro sviluppo, serve una prospettiva europea. Scienza e tecnologia applicate alle rinnovabili sono una chiave che permetterebbe di valorizzare i saperi di queste terre, abbiamo bisogno di programmazione, di autonomia negoziata e di democrazia e di grandi investimenti dello Stato. Questo lo possiamo fare se anche il Sud torna a proporsi come soggetto del pensiero. Investire in questi territori attraverso politiche di accoglienza e di integrazione, abbiamo bisogno di un progetto alternativo di società. Inoltre custodire il punto di visto del Sud in questo tempo è fondamentale. Quando avremo sconfitto con il Referendum l’autonomia differenziata dovremo immaginare un’altra società”.
Le conclusioni politiche e programmatiche sono state affidate a Christian Ferrari, segretario della Cgil Nazionale: ”Vogliamo evidenziare innanzitutto un punto di fondo: dalle condizioni, dalle prospettive del Mezzogiorno, dipendono le condizioni e le prospettive di tutta l’Italia, settentrione compreso.
Questo è un punto politico che ormai è andato perso anche nell’agenda politica e noi vogliamo dire che oltre ai tanti problemi ci sono anche delle straordinarie potenzialità. Con l’autonomia differenziata rischiamo non solo di non andare nella direzione di riduzione dei divari e di rilancio del sistema produttivo Meridionale, ma di comprometterne le prospettive.
E in questo modo facciamo un danno a tutta l’Italia”. Sull’autonomia differenziata, ha aggiunto Ferrari, “noi consideriamo la sentenza della Consulta anche come una nostra vittoria politica, ma per quanto menomata, la legge Calderoli può fare ancora molti danni alle persone che rappresentiamo, dalla sanità alla legislazione sulla salute e sicurezza. La questione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) a risorse invariate ormai è una farsa.
Non solo non ci sono i soldi per garantirli in tutta Italia, ma con la legge di bilancio, il piano strutturale che è stato varato dal governo, ce ne saranno ancora meno. Noi pensiamo che questa sia una battaglia che vale la pena di fare. Vogliamo completare il lavoro – ha concluso Ferrari – e dire una parola definitiva a questo progetto che frantuma l’Italia. Pensiamo che, oltre agli aspetti di incostituzionalità, c’è un merito e un indirizzo politico che non va bene e che vogliamo battere”.
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