Nella foto il luogo dell'omicidio e da sinistra nei riquadri il pentito Domenico Di Napoli, la vittima Gennaro Ramondino e gli imputati Paolo Equabile e Nunzio Rizzo
Omicidio del 20enne Gennaro Ramondino a Pianura, processo immediato per tre componenti del commando di morte: il giovane ucciso per divergenze sul traffico di droga.
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A neppure due mesi dalla cattura dei complici del baby killer P.I., presunto esecutore materiale dell’omicidio del ventenne Gennaro Ramondino, la Procura di Napoli accelera i tempi.
Il giudice per le indagini preliminari, Leda Rossetti, come ha anticipato Il Roma, ha fissato per il prossimo 4 marzo l’inizio del giudizio immediato nei confronti di tre presunti membri della gang guidata dal giovane boss Massimiliano Santagata. I
n aula saranno presenti il collaboratore di giustizia Domenico Di Napoli, Paolo Equabile e Nunzio Rizzo, tutti accusati di aver partecipato alla distruzione e all’occultamento del cadavere del giovane ucciso il 1° settembre scorso.
Ramondino, originario di Fuorigrotta, fu assassinato nello scantinato di via Comunale Napoli a Pianura, un luogo utilizzato come base per lo spaccio di droga. Secondo le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda), il ventenne sarebbe stato eliminato per divergenze sulla gestione della vendita di stupefacenti.
Il killer, un ragazzo di appena 16 anni del rione Traiano, avrebbe utilizzato una pistola sottratta da un appartamento di proprietà di Di Napoli, senza che quest’ultimo ne fosse a conoscenza, almeno stando alle dichiarazioni rese alla polizia.
Pur estranei all’esecuzione materiale dell’omicidio, Equabile e Rizzo sono accusati di aver partecipato volontariamente alla fase successiva al delitto, contribuendo al trasporto e alla distruzione del cadavere. Il corpo di Ramondino fu bruciato in località Torre Poerio utilizzando una Fiat Panda appartenente alla vittima. Secondo le ricostruzioni, sarebbe stato Di Napoli ad appiccare le fiamme, motivo per cui è attualmente detenuto con l’accusa di favoreggiamento e distruzione del cadavere.
Le accuse trovano riscontro in alcune intercettazioni ambientali. In una conversazione con lo zio di Ramondino, Rizzo avrebbe ammesso di aver assistito agli eventi della tragica notte, dichiarando: «Genny non meritava di fare quella fine». Tuttavia, la Dda sostiene che il coinvolgimento di Rizzo ed Equabile nella fase di occultamento sia stato consapevole e privo di costrizioni.
L’inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile, ha coinvolto anche altri quattro indagati legati alla piazza di spaccio. Cristian Cacace, soprannominato “Capellone”, avrebbe acquistato la benzina usata per l’incendio, mentre Luciano Ivone, detto “Ciù ciù”, avrebbe ripulito il locale del delitto.
Per entrambi, tuttavia, il gip ha respinto la richiesta di arresto. Decisive per lo sviluppo delle indagini sono state le dichiarazioni del proprietario di una Toyota, utilizzata per raggiungere la campagna dove il corpo fu distrutto. L’uomo, insospettito da un forte odore di benzina all’interno del veicolo al momento della restituzione, ha collaborato con gli inquirenti, fornendo informazioni cruciali.
Mentre si attende l’inizio del processo, il caso di Ramondino rimane uno dei tanti episodi che gettano luce sull’allarmante coinvolgimento di giovanissimi nelle dinamiche criminali legate allo spaccio di droga e alla violenza mafiosa.
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