Napoli – Ci sono voluti tre anni per arrestarli ma alla fine tra ritardi e mancanza di giudici i tre pericolosi esponenti del potente clan Mazzarella sono finiti dietro le sbarre.
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Uno per la verità già era dentro (Salvatore Barile detto Totoriello, ha sposato una Mazzarella) ed ha ricevuto in carcere l’ordinanza cautelare. Gli altri due sono il boss Gennaro Mazzarella, 52 anni, soprannominato “bomba a mano”, figlio di Vincenzo Mazzarella, noto come ‘o vichingo, a sua volta cugino di Vincenzo Mazzarella detto ‘o scellone, deceduto nel 2018.
E poi la figura chiave di questa inchiesta l’incensurato di Ercolano, Gustavo Alek Noviello, 33 anni. E’ stato lui a minacciare le vittime di estorsione ovvero i commercianti e i titolari delle ditte di facchinaggio all’interno del porto. “Abbiamo 300 affiliati e non abbiamo paura a tornare per avere il rispetto”. Una delle minacce rivolte a un imprenditore di Ercolano che gestisce un’attività nel porto che era restio nel pagare la tangente.
Ma anche la determinazione a far saltare “Tutto in aria, ma dobbiamo stare attenti alle telecamere e quindi dobbiamo coprirci la faccia”, in un colloquio intercettato con il boss Gennaro Mazzarella per convincere sempre l’imprenditore “cattivo pagatore”. Gli volevano far saltare in aria il muro di cinta della villetta, come riporta Il Roma.
Le vicende risalgono al 2022, quando alcune vittime decidono di rompere il muro del silenzio e denunciare le richieste di pizzo subite. Tuttavia, gli arresti sono arrivati solo ora, a distanza di tre anni dalla richiesta inoltrata dal pm della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Napoli. Un ritardo che ha lasciato le vittime in una condizione di solitudine e paura, costrette a convivere con i propri aguzzini fuori dalla porta di casa.
Le indagini sono partite dopo l’aggressione subita dal titolare di un bar situato all’interno del porto di Napoli. L’uomo, residente a Ercolano, era stato picchiato con un casco per aver interrotto il pagamento di una rata mensile di 500 euro al clan. Una violenza che non ha lasciato scampo: il commerciante è stato costretto a cedere alle richieste degli estorsori, che hanno fatto leva sulla paura e sulla minaccia di un esercito di 300 affiliati pronti a sostituire chiunque fosse finito in carcere.
Secondo le ricostruzioni della Procura di Napoli, il clan Mazzarella aveva imposto il pizzo a diversi imprenditori, non solo nel porto di Napoli, ma anche in comuni come San Giorgio a Cremano e Portici. Le minacce erano esplicite e brutali: “Ti taglio la lingua” era una delle frasi usate per zittire le vittime e scoraggiare qualsiasi tentativo di denuncia.Una trama oppressiva, denunciata in tempo reale, ma che ha visto gli arresti arrivare solo dopo tre anni di attesa.
Il pressing sui commercianti è stato implacabile, con minacce continue e riferimenti alla potenza numerica del clan, che avrebbe reso vano qualsiasi intervento delle forze dell’ordine. Una situazione che ha lasciato le vittime in balia di un sistema criminale che sembrava invincibile.
Ora, con gli arresti di ieri, si apre una nuova fase. Ma la domanda che resta è: quanto è stato lungo e doloroso il percorso per chi ha vissuto sotto la minaccia del clan Mazzarella? Tre anni di attesa sono un’eternità per chi convive con l’arroganza camorristica. E mentre la giustizia cerca di fare il suo corso, le vittime sperano che questo sia solo l’inizio di una svolta.
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