La sentenza, pronunciata ieri dal giudice per l’udienza preliminare Marcello De Chiara del Tribunale di Napoli, ha riportato in carcere Emanuele Schiavone, figlio di Francesco Schiavone, noto come Sandokan, con una condanna a tre anni e dieci mesi di reclusione. Per Francesco Reccia, figlio di Oreste, soprannominato “Recchia e Lepre”, la pena stabilita è stata di due anni e otto mesi.
Il pubblico ministero Vincenzo Ranieri, al termine della sua requisitoria una settimana fa, aveva richiesto una condanna di cinque anni per Schiavone, assistito dagli avvocati Paolo Caterino e Domenico Della Gatta, e quattro anni per Reccia, difeso esclusivamente dall’avvocato Della Gatta.
I due erano stati arrestati il 14 giugno a Napoli, nel quartiere Pallonetto, dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Caserta e della Compagnia di Casal di Principe, sotto il comando del capitano Marco Busetto. Le accuse a loro carico includevano detenzione e porto illegale di armi da fuoco in luogo pubblico, spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante mafiosa. Secondo le indagini, avevano tentato di prendere il controllo del mercato della droga a Casal di Principe.
Dopo essere stato scarcerato nell’aprile scorso, Schiavone era tornato a vivere nella sua casa natale in via Bologna. È qui che, nel suo quartier generale, ha trascorso le ultime ore di libertà prima di recarsi a Napoli, dove è stato arrestato dai carabinieri che lo tenevano costantemente sotto controllo, monitorando anche le sue conversazioni.
Dalle intercettazioni effettuate, i militari – coordinati nella fase investigativa dalla pm Simona Belluccio della Direzione distrettuale antimafia di Napoli – hanno ricostruito i dettagli di una faida tra il gruppo di Schiavone e Reccia e quello dei Bidognettiani. Quest’ultimo, forte di una numerosa manovalanza dedita allo spaccio e al controllo della prostituzione, vantava interessi comuni con la criminalità albanese e rumena.
Il conflitto tra le due fazioni, entrambe intenzionate a rafforzare il clan dei Casalesi con nuove leve e risorse, ha raggiunto il culmine nel giugno scorso con tre raid armati. Il primo e il secondo si sono verificati nella notte tra il 7 e l’8 giugno: uno in piazza Mercato e l’altro in via Bologna, contro la casa degli Schiavone abitata da Emanuele e dal fratello Ivanhoe, bersagliata da colpi di mitraglietta.
Il terzo raid, avvenuto tra il 10 e l’11 giugno, ha colpito l’abitazione dei Reccia in via Ovidio a San Cipriano d’Aversa. Gli spari, che hanno suscitato scalpore e paura, non solo annunciavano il ritorno della violenza della criminalità organizzata, ma si verificarono in un contesto particolarmente delicato: l’8 giugno, infatti, i colpi furono esplosi in una piazza gremita, alla vigilia delle elezioni amministrative di Casal di Principe.
Nonostante i raid, i responsabili materiali di quegli episodi non sono ancora stati identificati. Durante il processo, celebrato con rito abbreviato, e nella requisitoria del pm Ranieri, è emerso più volte che Emanuele Schiavone non aveva alcuna intenzione di abbandonare le sue attività criminali. Anzi, si sarebbe impegnato a ricostruire vecchie alleanze e a crearne di nuove, organizzando intorno a sé una nuova consorteria.
Quando suo padre, Francesco Schiavone Sandokan, gli comunicò l’intenzione di collaborare con la giustizia – un progetto poi mai concretizzato perché ritenuto inaffidabile – Emanuele reagì con parole dure, cercando di dissuaderlo. Ora, dovrà scontare altri tre anni e dieci mesi di reclusione, che si sommano ai 12 anni già trascorsi in carcere fino all’aprile scorso. Per Francesco Reccia, invece, questa è la prima esperienza dietro le sbarre.
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