Ventitré minuti di buio e un mozzicone di ‘Lucky Strike’: due elementi fondamentali per ipotizzare la presenza del colonnello dei carabinieri, Fabio Cagnazzo, sul luogo del delitto del sindaco Angelo Vassallo, appena dopo l’omicidio, avvenuto a Pollica tra le 21,10 e le 21,12 del 5 settembre 2010.
Il movente dell’omicidio: impedire a Vassallo di denunciare un traffico di stupefacenti fra Napoli e Acciaroli organizzato con la complicità del colonnello, del suo uomo dell’arma più fedele, Lazzaro Cioffi, dell’imprenditore scafatese Giuseppe Cipriano, alias ‘Peppe Odeon’ e di Romoletto Ridosso, pregiudicato di Scafati ex pentito.
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A tutti e quattro gli uomini, arrestati giovedì 7 novembre scorso, è contestata l’accusa di concorso in omicidio, per le fasi preparatorie del delitto, e sostiene la Procura, per l’esecuzione. Mentre a Cagnazzo, Cioffi e a un terzo carabiniere indagato, Luigi Molaro, vengono contestati diversi episodi di depistaggio che secondo la Dda di Salerno furono messi in atto fin dai primi momenti dopo il delitto. Artefice di questa operazione che sarebbe servita a sviare le indagini per anni è, secondo la Procura, il colonnello Fabio Cagnazzo.
Una ricostruzione che fila, incastrata tra riscontri oggettivi (il Dna di Cagnazzo sul mozzicone di sigaretta, per esempio), ipotesi investigative, intercettazioni e tabulati telefonici, dichiarazioni di testimoni e collaboratori di giustizia.
Ma c’è un vuoto di 120 secondi che dopo 14 anni anni nessuno è riuscito a colmare: sono quei due minuti nei quali Angelo Vassallo è stato ucciso. Sono quei secondi che trascorsero tra la conversazione telefonica del sindaco cola moglie (21,10) e una telefonata senza risposta (21,12) arrivata sul telefono d Vassallo.
In quel lasso temporale il killer ha agito. E il vuoto non riguarda solo l’azione in sé finalizzata ad esplodere 9 colpi calibro 9×21 contro la vittima designata. Quel lasso temporale, fino ad ora incolmabile, riguarda un elemento determinante: il nome e il volto del killer.
Quattordici anni senza un nome, senza un indizio significativo sull’esecutore materiale dell’omicidio. E’ un elemento che anche il Gip, Antonella Ferraiolo, del Tribunale di Salerno non manca di sottolineare nell’ordinanza di custodia cautelare.
Gli esecutori o l’esecutore materiale del delitto, avvenuto il 5 settembre 2010 mentre il sindaco tornava a casa, non sono stati ancora “chiaramente individuati”, anche se è stato possibile ricostruire in modo “coerente e dettagliato” movente e organizzazione dell’omicidio, oltre ai depistaggi successivi.
Il giudice ribadisce che l’attività investigativa “non ha ancora raggiunto una completa e compiuta ricostruzione degli scenari che conducevano all’esecuzione del sindaco Vassallo”.
Centrale nella ricostruzione delle fasi successive al delitto, la figura del colonnello Fabio Cagnazzo, il cacciatore di latitanti talentoso e esuberante che fino al 2010 – anno in cui fu trasferito a Foggia perché indiziato in un’indagine della Dda di Napoli per presunte collusioni con la camorra – aveva inanellato successi investigativi senza eguali.
Un uomo di legge che, emerge dall’ordinanza, ha agito come una scheggia impazzita dopo l’uccisione di Vassallo per depistare e indirizzare le indagini su persone e ipotesi lontane dalla realtà. Inducendo magistrati, colleghi dell’Arma, familiari e amici della vittima a deviare dal vero obiettivo dell’inchiesta. Un pantano durato oltre 14 anni, fino a giovedì scorso.
E riguardo all’indagato principale, il colonnello Fabio Cagnazzo, il gip usa parole di fuoco nel tratteggiarne la “spregiudicatezza”, la “preoccupante indifferenza verso i doveri e i compiti imposti dal suo ruolo”, la “pericolosità sociale”: ad avviso del giudice è lui “l’indiscusso protagonista dell’attività depistatoria funzionale alla copertura dei veri responsabili dell’omicidio”.
Un depistaggio, secondo l’accusa, pianificato a tavolino, prima del delitto, circostanza che ha “rafforzato il proposito criminoso” dei complici, “certi di poter sfuggire alle proprie responsabilità”.
A tradire Cagnazzo, però, sarebbe stato il suo allontanamento da una comitiva con cui si stava recando al ristorante proprio la sera dell’omicidio: c’è un buco di 23 minuti, in concomitanza con l’esecuzione del delitto, in cui l’ufficiale è scomparso e di cui non ha saputo dare una spiegazione.
Secondo il gip, l’allontanamento del colonnello rimanda “ad una sua immediata attivazione concomitante al delitto, ad ulteriore conferma dell’esistenza di un previo accordo con i responsabili, dei quali conosceva ed aveva interesse a coprire l’identità”.
Cagnazzo lascia la comitiva di amici nei minuti immediatamente successivi all’omicidio, verso le 21,15, per ritornare al ristorante solo dopo le 21,40. E’ in questo lasso di tempo che – nell’ipotesi della Procura – potrebbe essere arrivato fino al luogo del delitto per supportare i killer ad eliminare le tracce e a far sparire la pistola.
Ma Cagnazzo in quelle fasi concitate potrebbe aver commesso l’errore di lasciare in un uliveto, a pochi metri dall’auto con il corpo agonizzante di Angelo Vassallo, un mozzicone di ‘lucky strike’. E’ quello repertato dalla scientifica il giorno dopo l’omicidio sul quale c’è il suo Dna. Ma è stato un errore, una disattenzione che ha inquinato la scena del delitto, o un gesto di impunità e arroganza?
Il colonnello Cagnazzo, colpito da un malore dopo l’arresto e ricoverato in ospedale, dovrebbe provare a chiarire al Gip i tanti lati oscuri del suo comportamento a partire dai rapporti con personaggi della criminalità organizzata, prima e dopo il 2010, per finire al depistaggio su mandanti e killer del sindaco Angelo Vassallo.
Oggi è solo un eroe in disuso, passato dalla brillante carriera per la criminalità organizzata al corpo forestale dei carabinieri, e finito in carcere con l’infamante accusa di concorso in omicidio per coprire un traffico di stupefacenti.
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