Oltre all’hacker già arrestato, l’inchiesta della Procura di Napoli ha portato all’individuazione di ulteriori tre indagati per le infiltrazioni nei sistemi informatici del Ministero della Giustizia e altre società.
Durante una perquisizione durata ore, la Polizia Postale ha sequestrato diversi terabyte di file, sfruttando il vantaggio di aver arrestato l’hacker mentre i suoi computer erano ancora in funzione, permettendo un accesso diretto e la decifrazione immediata dei dati.
L’hacker, un siciliano di 24 anni, era divenuto un vero e proprio incubo per il Ministero della Giustizia.
Le sue intrusioni nei server, sfruttando un account di amministratore senza lasciare tracce, hanno costretto gli investigatori a tornare a metodi di indagine tradizionali, come l’uso di carta e incontri in presenza, per evitare di essere intercettati digitalmente.
Considerato un esperto informatico nonostante la mancanza di una laurea, l’uomo ha scalato i livelli di accesso fino a ottenere privilegi amministrativi nel sistema nazionale della Giustizia, inclusi processi telematici.
Ha anche mostrato interesse per alcuni fascicoli, alcuni dei quali lo riguardavano direttamente, essendo coinvolto in precedenti indagini, tra cui una della Procura di Brescia, poi trasferita a Gela.
Dopo aver ricevuto atti di notifica, ha iniziato un’attività di danneggiamento informativo, inizialmente puntando alla Guardia di Finanza, e successivamente su altri macrosistemi, per acquisire informazioni personali e altre situazioni correlate.
L’inchiesta, condotta dal pool reati informatici di Napoli, ha coinvolto vari uffici inquirenti in tutta Italia, supportati dalla Direzione Nazionale Antimafia. Il giovane, originario di Sciacca (Agrigento), residente a Gela (Caltanissetta) e domiciliato a Roma, lavorava come programmatore.
È stato arrestato ieri pomeriggio, prima di una serie di perquisizioni che hanno portato al sequestro di diversi terabyte di dati, alcuni coperti da segreto investigativo, distribuiti anche su server esteri.
Non solo ha estromesso amministratori, ma ha anche drenato milioni di euro in bitcoin da portafogli virtuali all’estero, frutto della vendita di beni e servizi illeciti.
Secondo il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, presente alla conferenza stampa con il procuratore Nicola Gratteri e Ivano Gabrielli, capo della Polizia Postale, è stata sventata una “minaccia grave” che ha danneggiato la sicurezza delle infrastrutture dello Stato. Per limitare i danni, si è tornati all’uso di carta per le comunicazioni, evitando email e WhatsApp.
I reati contestati all’hacker, che operava con quattro livelli di anonimato cifrati, includono accesso abusivo aggravato a strutture informatiche e diffusione di malware.
Con lui, altre tre persone sono indagate, e gli accertamenti continuano. L’hacker aveva iniziato a investigare su un’indagine della Guardia di Finanza a Brescia che lo riguardava, appropriandosi anche di materiale non diretto, comprese indagini coperte da segreto e altri atti segreti.
Tra il 2022 e luglio 2023, ha veicolato account utenti, password e cronologia browser verso una cartella condivisa, grazie a un malware inoculato a Napoli sui PC di due dipendenti del Ministero. Gli accessi abusivi sono avvenuti anche su sistemi di grandi aziende italiane come TIM e Telespazio, e ha modificato software per facilitare le sue violazioni. Non risultano collegamenti con l’inchiesta sui dossieraggi di Perugia né con indagini anti-terrorismo.
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