Napoli. A sinistra, entrando nella nuova biblioteca della casa circondariale, c’è un’opera del maestro Lello Esposito raffigurante una corona e la scritta Poggio Reale. Migliaia i libri sugli scaffali, tra romanzi e saggi, di autori italiani e stranieri.
È in questo spazio che oltre 20 detenuti dei reparti Genova e Firenze del carcere napoletano di Poggioreale – coloro che abitualmente partecipano al progetto “Parole in libertà” – hanno potuto incontrare lo scrittore Maurizio De Giovanni.
Una conversazione che ha presto spunto dalla presentazione di “Pioggia”, l’ultimo librio della serie de I Bastardi di Pizzofalcone, che vede come protagonista Leonida Brancato, un anziano avvocato penalista da tempo in pensione ucciso da qualcuno che ha infierito sul suo cadavere.
“I romanzi devono porre domande, non dare risposte. Il romanzo deve raccontare un ‘fattariello’, è il lettore a doversi dare delle risposte”, dice De Giovanni, ascoltando le osservazioni di un pubblico attento.
Diversi gli interrogativi che gli pone un ragazzo di 32 anni. Il libro, dal carcere, l’ha letto tutto d’un fiato. “Il motivo del titolo? Inizialmente il libro si chiamava Rabbia – confida lo scrittore -. L’ho chiamato pioggia quando la pioggia è diventata la protagonista. La pioggia cambia le nostre abitudini…”.
Il ciclo di incontri letterari, organizzati dal garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello, e a cui ha partecipato anche il vicedirettore del carcere Stefano Martone, si chiama “La lettura libera”. De Giovanni non può che essere d’accordo.
“Chi legge – spiega – si pone delle domande, è portato a pensare, a riflettere, a essere libero. Essere libero è difficile, non è detto che sia semplice. Leggere ti consente di non impazzire. Forse non è il luogo dove dovrei dirlo, ma la lettura consente di evadere”.
“La lettura libera”, rimarca ancora Ciambriello, che nel suo messaggio ai detenuti ribadisce: “Non conta quante volte siamo caduti, ma conta il coraggio di sapersi rialzare”. E Martone: “Il titolo del libro di de Giovanni, Pioggia, rimanda a qualcosa di cui abbiamo bisogno: la purificazione per poter riemergere”.
Rimergere, come il protagonista di un racconto che lo scrittore napoletano ha letto ai detenuti. È tratto dalla raccolta “L’ultimo passo di tango” e narra la storia – frutto di immaginazione – di un giovane di 22 anni che vive a via Stadera, ama disegnare, ma “non ha voglia di fare niente”. Fino al momento nel quale reincontra una vecchia conoscenza. Lucia, una ragazza “di una bellezza diversa, dolce, gentile”.
Da quando si frequentano, lui, Gigi, pensa al futuro. Si laurea e parte per Milano, per un corso di specializzazione. È Lucia ad averlo convinto, perché lui nemmeno ci voleva andare. Era a Milano Gigi il 23 novembre 1980 quando il terremoto fece crollare “come un castello di carte” il palazzo dove viveva tutta la sua famiglia, compresa Lucia. La vita è andata avanti e anche l’attività di famiglia, un negozio di scarpe, che ora Gigi gestisce insieme ad altri punti vendita, a Milano, a Venezia, a New York. Gigi non disegna più. Lo fa solo una volta all’anno.
Disegna un ritratto, quello della sua Lucia, ogni anno, alle sette e dieci del 23 novembre, e lascia che il vento se lo porti via. “Questo – dice De Giovanni – è un racconto scritto nello stesso linguaggio col quale si parla. Scrivete con le parole vostre”.
Un detenuto confida allo scrittore che da un po’ di tempo ha in mente di scrivere un libro autobiografico: “Parla di me nel passato e nel futuro, non nel presente”. “Ah io non ci riuscirei…”, la chiosa dello scrittore. Un altro detenuto, dopo gli autografi di rito, si mostra molto interessato al racconto su via Stadera e De Giovanni gliene dona una copia. Anche lui è un lettore incallito e ha un certo talento nella scrittura. In carcere già lo chiamano “Il poeta”.
Articolo pubblicato il giorno 1 Ottobre 2024 - 20:01 / di Cronache della Campania