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Afragola, il racconto choc: “Padre Gildi mi faceva organizzare le orge a casa mia”

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“Padre Gildi, per mio tramite, ha sempre organizzato dei rapporti sessuali di gruppo a casa mia, io li organizzavo perché altrimenti non mi avrebbe aiutato con l’assicurazione, con il cibo, mi ricattava”.

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Fa restare senza parola il racconto denuncia che il giovane nord africano vittima degli abusi sessuali prima di padre Nicola Gildi e poi di don Domenico Silvestro, arrestati oggi insieme con altre 4 persone autori dell’aggressione  e della rapina del telefonino nel quale vi erano le immagini degli incontri sessuali.

Racconta ancora il giovane migrante: “Le richieste di organizzazione di queste orge avvenivano attraverso messaggi che padre Gildi mandava al mio amico…omissis… Sono cose che avvenivano circa una volta al mese.

I ragazzi che venivano a queste orge venivano invitati con le app di incontri come quella “Ciao Amigos” e “Tinder”. Padre Gildi aveva dei rapporti sessuali con ragazzi che poi pagavo io per lui con somme di denaro, intorno ai 50 euro.

In queste orge anche io ero costretto da Padre Gildi ad avere rapporti sessuali altrimenti come ho già detto non mi avrebbe più aiutato. Anche il mio amico…omissis… è stato costretto a rapporti sessuali con padre Gildi sotto ricatto che ci avrebbero tolto l’aiuto che ricevevamo”.

Per il gip i parroci hanno agito con “straordinaria spregiudicatezza”

Basterebbe questo per restare inorriditi davanti a tanto squallore. Non a caso il gip Caterina Anna Arpino scrive, nelle 47 pagine dell’ordinanza cautelare che “non può non essere rimarcata la straordinaria spregriudicatezza” messa in atto dai due frati arrestati stamani dai carabinieri dai carabinieri di Afragola, in provincia di Napoli.

La gip parla di condotte ripetute “per diversi mesi, in un contesto lavorativo e di assistenza religiosa, approfittando della loro posizione sovraordinata e della debolezza, fisica e psicologica, delle vittime”.

“Carissimo Giuseppe ti ringrazio per questo tuo impegno nei confronti dei frati, io sono mortificato, perché mai avrei voluto che si giungesse a questo. Ti chiedo perdono e ti assicuro la mia preghiera per te e per la tua famiglia. Un abbraccio e una benedizione”.

E’ invece il testo del messaggio agli atti dell’indagine dei carabinieri e della Procura di Napoli Nord che il frate Nicola Gildi invia all’imprenditore Giuseppe Castaldo, l’ 8 aprile scorso, il giorno dopo l’incontro durante il quale, secondo gli inquirenti, è stata formulata la richiesta finalizzata a ‘risolvere’ il problema dei cellulari sui quali c’erano tracce compromettenti delle condotte sessuali.

L’imprenditore Castaldo: “Io sono devoto a Sant’Antonio e alla chiesa”

Pochi minuti dopo Castaldo risponde al messaggio: “Nicola, io sono devoto a sant’Antonio e alla Chiesa ma soprattutto mi avevano detto che sei una brava persona e di cuore, domenica ho avuto conferma, mi fa piacere averti conosciuto ci vediamo presto grazie per le preghiera per la mia famiglia”.

Agli atti dell’inchiesta, oltre le intercettazioni, c’è una lettera degli avvocati delle due vittime degli abusi indirizzata ai due religiosi, acquisita dai carabinieri e dalla Procura di Napoli Nord.

I legali sollecitavano i pagamenti per le prestazioni lavorative erogate dalle due vittime nei monasteri, e nella lettera si faceva anche riferimento ai rapporti sessuali subiti in cambio di assistenza di carattere sociale e lavorativa: alle vittime sarebbe stato garantito un impegno retribuito in ogni luogo di culto in cui i due frati si trovavano a svolgere le proprie funzioni religiose.

La lettera avrebbe innescati la reazione: padre Gildi chiede aiuto a Castaldo, il quale invia Danilo Bottino e Biagio Cirillo, lo scorso 26 aprile, ad impossessarsi dei telefoni cellulari delle vittime.

I due sfondano la porta dell’abitazione e, armati di una mazza da baseball (“dammelo altrimenti ti spacco la faccia, ti uccido”), hanno cercato di farsi consegnare i cellulari, obiettivo fallito a causa della reazione dei due minacciati, uno dei quali rimasto ferito.

Bottino, per evitare che le forze dell’ordine potessero risalire a lui, ha anche denunciato falsamente il furto della sua auto alla stazione dei carabinieri di Marigliano, usata per recarsi a casa delle vittime dell’aggressione.

In carcere anche Antonio Di Maso, imprenditore 43enne, è invece accusato di avere fatto da intermediario tra il frate mandante e l’organizzatore della rapina che sarebbe Giuseppe Castaldo, 52 anni, come Di Maso imprenditore di Afragola, ma, secondo gli inquirenti, in contatto con la criminalità organizzata di Marigliano.




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