Giugliano. Un’incredibile scoperta è stata fatta all’interno della Tomba del Cerbero a Giugliano, in provincia di Napoli.
Lo scheletro, presumibilmente appartenente al capostipite della famiglia che commissionò la tomba, è stato rinvenuto all’interno di un sarcofago sigillato per oltre 2000 anni.
Grazie a un’operazione mirata, condotta dopo un’ispezione con microcamera, è stato possibile accedere all’interno del sarcofago.
Le attività di scavo, guidate dall’archeologa Simona Formola della Soprintendenza Archeologica di Napoli, hanno rivelato la straordinaria conservazione del corpo, deposto in posizione supina.
L’uomo era avvolto in un sudario, probabilmente mineralizzatosi a causa delle particolari condizioni climatiche della camera funeraria, e circondato da oggetti del corredo funebre, tra cui unguentari e strigili.
L’accurata sepoltura e la datazione dei reperti rinvenuti suggeriscono che si possa trattare del capostipite della famiglia a cui si deve la costruzione del mausoleo.
Le indagini all’interno della Tomba del Cerbero proseguono, con l’obiettivo di riprendere gli scavi nella necropoli circostante e restaurare gli affreschi, grazie al finanziamento del Ministero della Cultura e all’impegno del Ministro Sangiuliano, che ha visitato il sito lo scorso novembre.
“La Tomba del Cerbero continua a rivelare preziose informazioni sul territorio flegreo nei pressi di Liternum, ampliando le nostre conoscenze del passato e offrendo opportunità di ricerca multidisciplinare”, ha dichiarato il Soprintendente Mariano Nuzzo.
“Negli ultimi mesi”, ha proseguito Nuzzo, “le analisi di laboratorio condotte sui campioni prelevati dai corpi e dai letti funerari hanno fornito una notevole quantità di dati sul trattamento dei defunti e sui rituali funebri, arricchendo significativamente il nostro bagaglio di conoscenze.
Un lavoro di squadra guidato dalla Soprintendenza, che ha visto la collaborazione di archeologi, tecnici, antropologi, paleobotanici e chimici, uniti nel comune obiettivo di interpretare i dati raccolti e svelare la storia del sito nel tempo”.
Sono state messe in atto procedure complesse per le analisi sui tessuti, condotte da Margarita Gleba dell’Università di Padova, per determinare la struttura dei filati, il tipo e la qualità dei tessuti, al fine di trarne informazioni anche di carattere culturale e sociologico. Osservazioni al microscopio sono state condotte da Maria Rosaria Barone Lumaga dell’Università Federico II di Napoli su sostanze organiche presenti in alcuni contenitori.
Le analisi polliniche, condotte dall’archeobotanica Monica Stanzione in collaborazione con Marco Marchesini e Silvia Marvelli del CAA (Centro Agricoltura Ambiente “Giorgio Nicoli”), suggeriscono che i corpi potessero essere stati trattati con creme a base di chenopodio e assenzio per favorirne la conservazione.
Le analisi del DNA degli individui sono invece ancora in corso, a cura della bio-antropologa Barbara Albanese in collaborazione con Pontus Skoglund, Thomas Booth e Sarah Johnston dello Skoglund Ancient Genomics Laboratory al Francis Crick Institute.
La prosecuzione delle indagini archeologiche e delle analisi di laboratorio nei prossimi mesi permetterà di raccogliere nuovi dati di grande interesse, non solo dall’ipogeo ma anche dalla necropoli circostante, contribuendo a ricostruire il panorama storico e sociale di un’antica comunità che ha ancora molto da rivelare.
Articolo pubblicato il giorno 22 Luglio 2024 - 17:00