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Napoli poliziotto ucciso: Salvatore Allard condannato a 30 anni di carcere

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Il GUP di Napoli Rosamaria De Lellis ha condannato a 30 anni di reclusione Salvatore Allard, imputato nel processo con il rito abbreviato per l’omicidio volontario pluriaggravato del poliziotto Domenico Attianese, ucciso oltre 37 anni fa mentre tentava di sventare una rapina alla gioielleria Romanelli del quartiere Pianura di Napoli.

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Accolte le richieste del PM Maurizio De Marco, che al termine della sua requisitoria ha chiesto la condanna a trent’anni di carcere. La sentenza è stata accolta tra le lacrime della figlia Carla e della moglie della vittima.

A causa delle gravi condizioni di salute, che non hanno reso possibile la traduzione in aula e la partecipazione al giudizio, la posizione del secondo imputato, Giovanni Rendina (difeso dall’avvocato Marco Esposito del foro di Napoli), già nella precedente udienza, è stata stralciata.

Oggi, quindi, è stato definito solo il procedimento in abbreviato di Salvatore Allard. Quello che riguarda Giovanni Rendina, invece, è stato rinviato al prossimo 16 settembre, in attesa del miglioramento delle sue condizioni di salute. Rendina, infatti, è ricoverato da quasi due mesi in ospedale a causa di una polmonite contratta nell’istituto penale dove era detenuto.

Qualche giorno fa è uscito dal reparto di rianimazione del San Giovanni Bosco ed è ora in attesa di riprendersi attraverso un percorso di riabilitazione.

“Il problema del sovraffollamento carcerario,” dice l’avvocato Marco Esposito, presidente dell’istituto forense per la difesa dei diritti umani, “è una piaga che affligge la maggior parte degli istituti penitenziari italiani e favorisce il proliferare di tipologie di batteri resistenti, che sono comuni anche nei contesti ospedalieri.

Per quanto attiene al procedimento in corso,” aggiunge il professionista, “si stigmatizzano le affermazioni apparse sulla stampa nei quali si affermava categoricamente che il sovrintendente Attianese era stato ucciso ‘dai colpi sparati da Rendina e Allard’.

Tale affermazione in realtà non trova riscontro nel materiale probatorio. Il sovrintendente fu attinto da un unico colpo calibro 9 verosimilmente esploso dalla sua pistola di ordinanza. È quindi importante promuovere il rispetto da una parte del diritto alla salute dei detenuti, dall’altra il sacrosanto rispetto della presunzione di innocenza.”


Articolo pubblicato il giorno 23 Luglio 2024 - 14:44


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