Napoli. C’è anche la figlia del defunto boss Gennaro Licciardi, meglio noto come “Gennaro a’ Scigna” capo camorra della Masseria Cardone e fondatore dell’omonimo clan, tra i nove arrestati nell’operazione anti usura della Dda di Napoli.
Per lei e altri 4 il gip Maria Gabriella Iagulli ha concesso gli arresti domicileari e ha ritenuto di escludere l’aggravante dell’agevolazione camorristica confermando però la modalità mafiosa dei reati contestati.
Ai domiciliari anche Massimo Donnarumma, Giovanni Ioime, Emaniele Flaminio, Alfredo Franco. In carcere invece Antonio Donnarumma, Pasquale Casertano, Alfredo Zona e Mario Vittoriosi.
Pensando di ottenere un ridimensionamento dei tassi d’interesse, anche di diverse migliaia di euro al mese, hanno pensato di rivolgersi alla camorra e non alle forze dell’ordine, cadendo dalla padella alla brace: è quanto successo a due commercianti napoletani rimasti intrappolati in un vorticoso giro d’usura a cui ha messo fine la Polizia di Stato di Napoli (Squadra Mobile e Commissariati di Scampia e Secondigliano) che ha arrestato le nove persone.
Dopo essersi trovati in notevoli difficoltà a causa dei prestiti chiesti e dei tassi esorbitanti che avrebbero dovuto corrispondere agli esattori, si sono rivolti al clan Licciardi che invece ha rincarato la dose, con il chiaro obiettivo di acquisire le loro proprietà e riciclare fondi frutto di attività illecite.
Secondo quanto emerso dalle ultime indagini della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea i clan con maggiore disponibilità di denaro liquido, come per esempio il clan Licciardi, stanno portando avanti questa attività proprio per acquisire imprese e negozi mettendo i proprietari in gravi difficoltà, soprattutto in condizione di non pagare i prestiti chiesti che poi alla fine si estinguono con la cessione dell’attività.
E, infatti, le due vittime in questione si sono viste moltiplicare le quote da restituire fino all’inverosimile: infatti, nel giugno 2023, a fronte di un prestito da 15mila euro avrebbero dovuto restituirne 18mila ma già nel novembre dello stesso anno, a fronte di un prestito di 200mila euro (in quattro rate da 50mila euro) alcuni degli indagati avevano già chiesto, a titolo di interessi, ben 120mila euro.
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