Napoli. 140 gli indagati, 1000 pagine di ordinanza cautelare, 130 capi di imputazione e 40 ordinanze di misura cautelare: è questa la sintesi del maxi processo al clan Contini che inizia dopodomani nell’aula Bunker di Poggioreale.
L’udienza preliminare che si apre il 7 giugno parte dall’inchiesta della Procura di Napoli, Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e con i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia ed emesse dal G.I.P.
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Nella lista esponenti del clan Contini, imprenditori compiacenti, prestanome, intermediari d’affari, per un giro vertiginoso di soldi che ha portato carabinieri e finanza ad operare anche una serie di sequestri per un totale di 8,4 milioni di euro.
Otto anni di indagini, per questo filone di indagine (ve ne sono altri 10) avvenute attraverso analisi di documenti fiscali, accertamenti fiscali, appostamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, testimonianze di parti offese e di Collaboratori di Giustizia, il cui castello accusatorio si completava via via con nuovi accertamenti, interrogatori e nuovi iscritti nel registro degli indagati.
I reati contestati dagli inquirenti sono a vario titolo: falsificazione e commercializzazione di orologi a marchio contraffatto, fittizia intestazione di beni, indebite compensazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali, emissione ed utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, dichiarazione infedele, indebita compensazione, detenzione e traffico di armi da fuoco, estorsione aggravata, aggressione e tentato omicidio, tutte aggravate dal metodo mafioso per favorire la potente cosca del Clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano (Mallardo e Licciardi).
Secondo gli investigatori, si era costituito “un vero e proprio gruppo imprenditoriale/criminale costituito da diverse società operanti sul territorio italiano ed estero create e/o acquistate” da Antonio Festa, suo figlio Gennaro Festa e Salvatore D’Amelio, grazie alla collaborazione di vari professionisti tra cui Michele Tecchia il tutto attraverso “l’imposizione fittizia e fiduciaria di numerosi prestanome”.
Tenore di vita altissimo, investimenti in molteplici settori economici, eppure i componenti del Gruppo Festa risultavano secondo gli inquirenti “essere privi di una solida base economica”. L’ipotesi è che i componenti del gruppo fossero riusciti a “creare una fitta rete di società intestate a prestanome, nelle quali confluivano i proventi delle varie condotte illecite, dalla contraffazione alle frodi fiscali, e conseguenti attività di riciclaggio”.
Ultima fase di questa enorme vicenda criminale: detenzione e traffico di armi da fuoco e l’estorsione al fondamentale intermediario S.C, che secondo la Procura e’ stato destinatario di estorsioni da uomini del clan, minacciato, picchiato e accoltellato per un investimento andato male con i Festa e altri esponenti del clan, antecedentemente all’epoca covid, con intermediari Cinesi. Una vera e propria esecuzione che doveva portare al suo omicidio.
Tra le varie attività, il gruppo secondo gli inquirenti avrebbe anche acquisito il 50% del capitale sociale di una clinica per autistici in provincia di Campobasso, reimpiegando nell’operazione quasi 3 milioni di euro di origine illecita.
Nel pool difensivo gli avvocati Arturo Cola, Gaetano Manzi, Giovanni Cerino, Vincenzo Romano, Claudio Davino, Massimo Viscusi, Domenico Vincenzo Ferraro, Gianluca Gambogi, Leopoldo Perone.
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