Una corsia veloce per uscire dalla detenzione, una volta dimostrata la buona condotta. E’ questo il nuovo decreto “svuota-carceri”: anche se per la destra di governo non deve essere chiamato così.
Anche se, in fondo, l’obiettivo del decreto limato al ministero della Giustizia e pronto per il Consiglio dei ministri oggi è proprio questo: ridurre il sovraffollamento delle carceri italiane, che oggi raggiunge il 140%, secondo gli ultimi dati del Garante dei detenuti.
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Un’emergenza umanitaria, aggravata da quaranta suicidi dietro le sbarre dall’inizio dell’anno. Il governo prova a intervenire.
Due le novità di peso nel testo. Innanzitutto, l’accelerazione delle procedure per la scarcerazione dei detenuti. Nessun aumento degli sconti di pena previsti per legge – 45 giorni ogni sei mesi per chi dà prova di buona condotta – ma un’inversione delle procedure che, nelle intenzioni del governo, dovrà accelerare la liberazione anticipata e liberare spazi nelle celle.
Il nuovo meccanismo sullo sconto della pena
A decidere sullo sconto previsto dalle leggi in vigore non sarà più il tribunale di sorveglianza, ma direttamente il pm competente per l’esecuzione della pena.
Il meccanismo, oggi farraginoso perché richiede un’istruttoria e un esplicito via libera agli sconti semestrali dai tribunali, spesso ritardando di anni le pratiche dei detenuti, diventerà quindi automatico.
Con la buona condotta 45 giorni di sconto ogni sei mesi
A meno che il pm non segnali al tribunale di sorveglianza la cattiva condotta del detenuto, lo sconto di 45 giorni scatterà ogni sei mesi. Questo è il compromesso trovato a via Arenula, sul quale, insieme al Guardasigilli Carlo Nordio, ha lavorato il sottosegretario leghista con delega alle carceri Andrea Ostellari, per sbloccare l’impasse.
L’obiettivo è liberare i tribunali dalla valanga di richieste di scarcerazione anticipata – circa duecentomila – che finiscono per accumularsi negli armadi, rinviando a data da destinarsi l’effettiva liberazione del detenuto che ha diritto allo sconto di pena.
L’altro fronte su cui interviene il decreto riguarda le cooperative che lavorano con i detenuti. Sarà istituito un registro nazionale delle “coop”. Una stretta sui controlli delle associazioni che si offrono di “riabilitare” chi sta per uscire dal carcere e reintrodurlo in società, richiedendo fondi pubblici per farlo.
Alcuni, con un po’ di malizia, l’hanno ribattezzata la “norma Soumahoro”, in riferimento alle note vicende giudiziarie che hanno coinvolto la cooperativa vicina alla famiglia del deputato di Avs.
Anche i controlli più severi sulle cooperative serviranno, nei piani di chi ha scritto il decreto, a ridurre il sovraffollamento carcerario. Sono circa settemila i detenuti a un passo dalla liberazione e nelle condizioni di accedere a pene alternative.
Gli ultimi sei mesi di pena sono anche i più delicati, perché è in questo periodo che si spiana la strada per un graduale ritorno in società o per l’isolamento del detenuto una volta libero. Questo è lo scopo dell’accordo tra governo e coop, che ha anche una logica economica alle spalle.
Con un’intesa siglata con la Cassa Ammende e la Conferenza Stato-Regioni, le associazioni registrate nell’albo nazionale si faranno carico di una parte dei costi per mantenere i detenuti, che per lo Stato rappresentano una spesa significativa: si stimano in media centocinquanta euro a persona al giorno per garantire cibo, vestiti e servizi essenziali.
Gli ultimi sei mesi di detenzione al lavoro nelle coop sociali
In sintesi, inviando i detenuti a fine pena nelle coop, lo Stato conta di raggiungere due obiettivi: liberare spazio nelle carceri e risparmiare. Il decreto includerà disposizioni per accelerare la costruzione di nuovi istituti detentivi, anche all’interno di caserme cedute dalla Difesa, e l’aumento delle telefonate mensili dei detenuti ai familiari.
Articolo pubblicato il giorno 24 Giugno 2024 - 06:49