“È quanto sostengo da tempo per l’Italia: gli oltre 5.200 miliardi di euro di ricchezza finanziaria dei nostri connazionali dovrebbero sostenere ed essere investiti nel capitale delle aziende per rendere più forte e competitiva la nostra economia. Adesso, anche l’Unione europea sembra andare in questa direzione. Ciò grazie al rapporto sul Mercato unico – commissionato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e realizzato da Enrico Letta, già presidente del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica – di cui non si è parlato abbastanza e sono stati trascurati alcuni aspetti fondamentali”. Lo scrive Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento della sua rubrica con l’Agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.
“Le aziende europee- spiega- sono in ritardo in termini di innovazione e crescita rispetto ai loro competitor di Usa, Cina e India. Senza equity le nostre imprese non sono in grado di contrastare sia il protezionismo con cui gli Stati Uniti provano a tagliare fuori la concorrenza, sia la politica del Governo di Pechino, che mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena del valore nelle tecnologie avanzate e pulite e ad assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie. È quindi fondamentale che l’Unione trovi il modo attraverso cui destinare e incanalare alle aziende i 33mila miliardi di euro di risparmi privati dei suoi cittadini.
Un dato su tutti: le start-up dell’Ue ricevono meno della metà dei finanziamenti di quelle statunitensi. Le imprese europee, se messe in grado di investire nel capitale umano, nelle nuove tecnologie e nell’innovazione, faranno crescere l’economia dei 27. Che Bruxelles lavori in questa prospettiva è una buona notizia alla luce del fatto che torna in vigore il Patto di stabilità, che era stato sospeso nel 2020 a causa del Covid. La riforma introduce nuovi margini di flessibilità, ma restano i tetti del 3% e del 60% del Pil per quanto riguarda disavanzo e debito. In particolare, le nuove regole prevedono che i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del Pil dovranno presentare entro il 20 settembre 2024 dei piani di riduzione in quattro anni, che possono essere estesi a sette in cambio di riforme e investimenti”.
“Le proposte di Enrico Letta- continua Livolsi- sono complementari con quelle del rapporto sulla competitiva, anch’esso voluto da von der Leyen, su cui ha lavorato l’ex premier e presidente della Bce Mario Draghi, che non a caso ha come uno dei tre punti fondamentali, oltre ai sistemi energetici decarbonizzati e autonomi e alla difesa Ue integrata, proprio l’innovazione digitale. Per superare le naturali resistenze dei Paesi nordici, capeggiati dalla Germania, risulta fondamentale pensare a strumenti innovativi di risparmio che consentano al cittadino di avere buoni tassi di interesse, non siano rischiosi ed eminentemente speculativi, ma connessi a dei progetti europei, penso per esempio al finanziamento della transizione energetica e all’obiettivo di fare dell’Europa l’area climaticamente neutra e più competitiva del pianeta entro il 2050. Sarà quindi necessaria una politica di educazione finanziaria tra i cittadini europei”.
“Anche se l’Unione fiscale europea è un traguardo difficile da realizzare – cui prima o poi si dovrà arrivare – per via delle differenze di reddito e di ricchezza tra i vari Paesi, è evidente che servirà armonizzare i quadri normativi fiscali degli Stati membri. L’auspicio- conclude- è che il nuovo Parlamento europeo che sarà eletto con le imminenti elezioni del 6-9 giugno abbia la creatività per arrivare a definire un sistema fiscale europeo unico, come avvenne, mutatis mutandis, quando il Parlamento promosse la convocazione di una sessione straordinaria di assise interparlamentari, che sbloccarono nel 1990 il negoziato che portò al Trattato di Maastricht, l’atto fondativo dell’Unione europea, che pose le premesse per la nascita dell’euro”.
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