Davanti al Tribunale del Riesame di Milano, gli agenti della Polizia Penitenziaria arrestati nell’ambito dell’inchiesta sul presunto “sistema” di violenze nel carcere Beccaria hanno respinto le accuse di tortura, sostenendo che i loro interventi sono stati solo reazioni a aggressioni da parte dei detenuti minorili.
Oggi si sono tenute due udienze per altrettanti agenti. Il primo, un 33enne in servizio al Beccaria dal 2019, è accusato di più episodi di violenza. I suoi legali, Leonardo Pugliese e Emanuele De Paola, hanno chiesto ai giudici di attenuare la misura cautelare del carcere con l’obbligo di dimora o i domiciliari in Campania.
La difesa sostiene che l’agente non ha commesso i reati contestati e che i suoi interventi sono stati di legittima difesa o al massimo di eccesso colposo.
Il secondo agente, un 27enne già ai domiciliari per ordine del gip Stefania Donadeo, ha visto la sua difesa contestare la “qualificazione giuridica” dei reati che gli vengono addebitati.
L’avvocato Massimiliano Cataldo ha sostenuto che al massimo si tratterebbe di lesioni e non di tortura, e che per questo non sarebbe necessaria la misura cautelare del carcere. La difesa ha chiesto ai giudici di revocare l’ordinanza o di disporre misure più lievi, come
Il Tribunale del Riesame si pronuncerà sulle richieste delle difese nei prossimi giorni. Nel frattempo, la pm Rosaria Stagnaro inizierà ad ascoltare i primi tre minori (su un totale di circa dieci) sugli ulteriori casi di presunte violenze, oltre alle otto vittime già indicate nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di 13 agenti e alla sospensione di altri 8.
Il caso del carcere Beccaria continua a suscitare grande attenzione e preoccupazione per le gravi accuse di violenze nei confronti dei detenuti minorili. Le indagini proseguono per fare luce su quanto accaduto e per accertare le responsabilità individuali.
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