Nel centenario della sua nascita, il documentario di Francesco D’Arma con la regia di Monica Onore, ripercorre la vita del grande attore partenopeo, uno che napoletano lo era “non solo per anagrafe, ma per scelta e cultura”.
Cento anni fa la sua nascita, in via del Sole 6 a Napoli, celebrata nella puntata speciale della serie In Scena, che Rai Cultura propone proprio il giorno del compleanno di Giuffré, mercoledì 10 aprile alle 21.15 su Rai5.
Scugnizzo fin alla fine perché, come ricorda la moglie Elena: “era Aldo quello giovane”.
Un “napoletano con il rigore lombardo”, come ama definirsi, ma soprattutto un artista dai mille segmenti poetici, difficile da chiudere in una categoria, come ribadisce il nipote, il registra teatrale Francesco Giuffré: “Non gli darei l’etichetta di drammatico o comico, era un eclettico”. La sua è una comicità mai banale, pregna di una dolenza empatica che lo avvicina al pubblico perché: “Far ridere è una cosa seria“, come ripete ai suoi allievi.
Una comicità espressa nella “Francesca da Rimini”, un’interpretazione ‘fresca’ del teatro tradizionale nata dal sodalizio con il fratello Carlo. Un rapporto di vicinanza sulla scena, ma di distanza nella vita, mai ricucito davvero dopo la rottura. Ed è proprio il teatro la grande passione di Aldo Giuffré, perché “il teatro è dell’attore, il cinema del regista”
. Una dimensione che lo tiene lontano dalle apparenze, dal falso intellettualismo: “Si recita per essere un uomo libero“, ripete. Uomo di grande cultura nonostante la lontananza dai banchi di scuola – talmente assenteista che i professori nemmeno lo conoscevano – inizia la sua carriera vincendo un concorso da speaker alla radio. Sarà la sua voce ad annunciare la fine della seconda guerra mondiale ai microfoni dell’Eiar il 25 aprile del 1945. E poi l’incontro con Eduardo De Filippo, “un forziere a cui ho dovuto rubare l’inestimabile tesoro “.Un grande maestro, ma non l’unico: “Eduardo mi ha insegnato il mestiere, Strehler il rigore e Cesco Baseggio la semplicità con cui usare lo strumento, la voce”. Ma la ‘luce delle luci’ è Totò. La sua capacità di giocare con le improvvisazioni del grande comico lo rende un comprimario perfetto. Giuffré, però, non va mai oltre il lavoro con Totò, vuole che rimanga un mito, “per lui era Totò: la maschera”, ricorda la moglie. E si potrebbe condensare la potenza espressiva di Aldo Giuffré in un episodio che lo consacra definitivamente: la donazione della maschera di Antonio Petito, l’ultimo e il più grande Pulcinella nella storia del teatro popolare dell’Ottocento. Nel consegnarla, un pronipote dell’attore gli dice: “Maestro, ci sono tantissimi grandi artisti. Però questa maschera la merita lei”.
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