Ha dei dubbi lo scrittore esperto di camorra, Roberto Saviano, sul reale pentimento di Francesco Schiavone Sandokan e lo scrive in una lunga riflessione video sul suo profilo Instagram.
“Schiavone è il capo del clan dei Casalesi, insieme a Bidognetti, e ha deciso di collaborare con la giustizia. Sarà davvero così? Collaborerà dando informazioni importanti o farà come il figlio e la moglie, e altri ex capi, che ad oggi hanno detto molto poco?
Punti Chiave Articolo
Conscio della debolezza dello Stato alla ricerca solo di poter comunicare un pentimento, gli basterà dare qualche prova di omicidio, qualche tangente ed evitarsi l’ergastolo? Riuscirà a farlo senza svelare dove si trovano i soldi della camorra e senza dimostrare i legami politici imprenditoriali reali? Lo scopriremo monitorando e analizzando quello che accadrà”.
E poi aggiunge: “Una notizia che per me è stata travolgente. Anni fa lo avevo invitato a pentirsi dicendogli che il suo potere ormai era in crisi. Il suo pentimento, se reale, cioè se racconta davvero, potrebbe fare la differenza. Lui conosce mezzo secolo di storia del potere camorristico.
“Farà come Iovine che ci ha raccontato cose che già sapevamo?”
La grande paura è che abbia trovato un momento di equilibrio in cui sa bene che non c’è un vero contrasto economico imprenditoriale da parte dello Stato alle organizzazioni criminali. Davvero collaborerà? Farà come Antonio Iovine che ci ha raccontato cose che sapevamo, o ci svelerà come spero nuove possibilità di conoscenza, soprattutto dove trovare i loro soldi, in quali paradisi fiscali sono, e tutti i rapporti con imprenditoria e politica?”.
Poi una riflessione sul personaggio e sulla sua caratura criminale: “Sandokan non è l’antistato, non bisogna mai fare questo errore. Sandokan e la camorra sono una parte dello Stato, esiste una parte di Stato infiltrata da loro, che è loro alleata, poi c’è una parte che li contrasta e poi c’è la parte più vasta, quella equidistante che a volte sta con gli uni e a volte con gli altri. Vediamo come andrà prima di considerarla una vittoria.
Ha fatto 26 anni di carcere duro e quel suo silenzio gli ha garantito di continuare ad essere re. Ora di certo non è più il capo, chi collabora con la giustizia non può più comandare, ma potrebbe averlo fatto per aggirare l’ergastolo ostativo, che per un boss blocca la possibilità di uscire dal carcere anche dopo i 30 anni.
Dopo 26 anni di carcere sa che o si pente o muore in galera. Aveva deciso di morire in galera e qualcosa gli ha fatto cambiare idea. Solo il tempo e l’attenzione a queste dinamiche ci farà capire”,.
Articolo pubblicato il giorno 29 Marzo 2024 - 16:37