Applausi prolungati, protrattasi più di due minuti, per Benedetta Buccellato al Teatro Karol di Castellammare di Stabia, che sabato 9 febbraio ha magistralmente portato in scena “Anna Cappelli”, lo struggente monologo scritto nel 1986 dal drammaturgo stabiese Annibale Ruccello.
I due erano legati da una profonda amicizia nata negli anni del liceo e dell’università, consolidatasi nel tempo e suggellata dalla comune passione per il teatro, di cui sono poi entrambi diventati protagonisti di rilievo, sia pure con ruoli diversi.
La rappresentazione, collocata nell’ambito della rassegna artistica “Passioni, differenze e altre visioni “ della Casa del contemporaneo”, si è svolta alla presenza della sua Direttrice artistica, Igina Di Napoli.
“Anna Cappelli” è l’ultima opera portata a termine da Ruccello prima del tragico incidente stradale che ha posto fine prematuramente alla sua vita e alla sua arte, ma è anche un testo che l’autore ha scritto proprio su richiesta della Buccellato, ispirata da un fatto di cronaca nera avvenuto a Parigi in quel periodo.
Lo ha riferito lei stessa quando, terminata la sua performance, ha raccontato al pubblico presente la genesi dello spettacolo, sottolineando quanto sia stato significativo per lei recitare nella città del drammaturgo, nonché amico, scomparso.
L’attrice ha dominato il palco con la straordinaria interpretazione di un personaggio drammatico, protagonista di un thriller psicologico. Con autentica naturalezza, il suo corpo, la sua voce ed una persuasiva mimica facciale, anticipando talvolta le parole, hanno tradotto le sensazioni e le emozioni di Anna Cappelli attraverso opportune trasfigurazioni ed un’influente prossemica, in uno spazio reso essenziale da “una scena nera e da pochi mobili”, nel rispetto dell’idea di teatro concepita dal compianto artista e da lei stessa condivisa.
In tale contesto visivo e paralinguistico, lo spettatore è stato dunque traghettato con grande abilità teatrale verso la verità sottesa nel potente monologo.
La storia rappresentata, ed ambientata negli anni ’60, è la vicenda esistenziale di un’impiegata del comune di Latina emigrata in questa città per lavoro, che per limitata capacità economica prende in affitto una camera adattandosi alle regole – nonché alle abitudini – di un’asfissiante padrona di casa, mal tollerate ma accettate in virtù della sua condizione.
Anna, la protagonista, evidenzia una spiccata natura egocentrica da subito. Decide in maniera tassativa di allontanarsi dalla propria famiglia perché la sua camera di ragazza, in sua assenza, è stata concessa alla sorella.
Il senso del possesso è la realtà costante della sua vita, quasi un’ossessione che contaminerà anche i sentimenti e che la narrazione rivela allorchè la donna si accorge delle attenzioni del Rag. Tonino Scarpa, suo collega d’ufficio, e nasce una storia tra loro.
L’uomo è proprietario di una casa che conta ben 12 stanze, governata da una vecchia e fedelissima cameriera. Scatta l’amore, ma un amore intriso di quel solito, deviante senso di possesso.
Anna nei confronti di Tonino si mostra remissiva, accetta suo malgrado la convivenza anche se il suo vero obiettivo sarebbe sposarsi, al fine di esprimere un legittimo “potere” sul compagno e le sue proprietà. Rifiuta perciò la logica dello scandalo generato dalla mancata regolarizzazione del rapporto e si cela dietro un’apparente disinvoltura ed un ostentato anticonformismo.
La vita, però, talvolta sconvolge i piani ed Anna deve fare i conti con una realtà che non aveva messo in conto. Nella sua vita si affaccia ineffabilmente la perdita. Dopo anni di convivenza, Tonino le annuncia che ha deciso di trasferirsi in Sicilia, da solo, e che progetta di vendere la casa. Anna è completamente spodestata, la decisione del compagno è inappellabile e le sue rivendicazioni non sortiscono alcun effetto.
Trascorre due giorni in preda ai pensieri, senza dormire, fino a quando giunge, realizzandola, ad una decisione cruenta, innaturale che caratterizza e tinge di noir l’intera narrazione.
Lo spettacolo è stato preceduto dall’intervento della studiosa ed esperta Ruccelliana, Monica Citarella che ha tracciato un’analisi dettagliata, compiuta ed efficace, consentendo al pubblico presente di cogliere i punti salienti dell’opera, favorendone una consapevole visione:
“… Annibale traduce la trasformazione culturale, che è quella che corrisponde alla mutazione antropologica di cui parla Pasolini, cioè il passaggio da una società , che Pasolini chiamava l’età del pane, fatta di legami più forti, di reti di protezione che ancora esistevano, alla società industriale, a quella del dopo il boom eonomico caratterizzata dalla competività e dal potere dei consumi che naturalmente riducono l’uomo ai suoi bisogni materiali.
In tutte le opere di Annabile le storie sono in primo piano, ma questo passaggio culturale è sempre fondamentale nelle vicende dei personaggi. Non a caso Anna Cappelli è una storia di possesso estremo, sentiremo una proliferazione di aggettivi e di pronomi possessivi: è mia la camera, è mio il mio uomo, l’amore viene ridotto a possesso, all’annientamento di sé nell’altro e quindi il soggetto diventa oggetto e vittima dell’amore stesso.
Anna Cappelli è un io ontologicamente debole, perché il possesso materiale serve a rassicurare l’io ontologicamente debole.”
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