Un 22enne migrante originario della Guinea si è impiccato la scorsa notte all’inferriata esterna del suo settore nel Cpr di Ponte Galeria, alla periferia di Roma. Sul muro, con un mozzicone di sigaretta, ha lasciato un messaggio straziante: “Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta”. Parole che rivelano la disperazione per un sogno tradito, quello di una vita migliore.
La realtà per il giovane è stata invece quella di una reclusione lunga mesi, diventata inaccettabile. “I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”, si legge ancora nel messaggio.
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Il suicidio ha scatenato la rivolta degli altri ospiti del centro, con il ferimento di due carabinieri e un militare dell’esercito. I disordini, con il lancio di sassi, il tentativo di incendiare un’auto e quello di sfondare una porta, sono stati sedati dalle forze dell’ordine, anche con il ricorso ai lacrimogeni.
L’ennesima tragedia nel sistema di accoglienza italiano accende i riflettori sulle condizioni inumane in cui versano molti CPR. Da inizio anno sono 15 i morti dietro le sbarre, migranti esclusi.
L’opposizione chiede la chiusura del Centro di Ponte Galeria, da sempre al centro di polemiche. Non è l’unica struttura ad essere finita sotto accusa: negli ultimi giorni proteste si sono registrate anche nei CPR di Gradisca d’Isonzo e Milo.
“Non c’è bisogno di aspettare le indagini per poter dire che luoghi come Ponte Galeria sono totalmente disumani. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi”, afferma la garante dei detenuti di Roma, Valentina Calderone.
Anche il carcere italiano vive una drammatica emergenza: dall’inizio dell’anno quasi uno ogni due giorni i suicidi.
“Si può e talvolta si deve ricorrere alle misure alternative”, ha detto il ministro Carlo Nordio, sottolineando la necessità di incidere sulla carcerazione preventiva.
Le morti di Ponte Galeria e delle carceri italiane sono un monito: il sistema di accoglienza e di detenzione va ripensato radicalmente. Non si può continuare a ignorare la sofferenza e la disperazione di chi si trova ai margini della società.
Il giovane suicida di Ponte Galeria era arrivato da pochi giorni dal Centro di Trapani. Venerdì era stato visto disperato da alcuni operatori. Piangeva, riferiva che voleva tornare nel suo Paese perché aveva lì due fratelli piccoli di cui occuparsi.
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