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Lavori di demolizione al Ponte Morandi: la camorra non c’era

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Nell’estate del 2019, tutti gli organi di stampa diffusero una notizia preoccupante riguardante l’arresto di due imprenditori coinvolti nei lavori di demolizione del Ponte Morandi, accusati del reato di intestazione fittizia, aggravato dal presunto coinvolgimento mafioso.

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Ferdinando Varlese, imprenditore con precedenti penali, era considerato il vero gestore della società Tecnodem, che aveva ottenuto in subappalto i delicati lavori di demolizione. Si ipotizzava che la società, dalle presunte connessioni mafiose, fosse formalmente intestata alla consuocera Marigliano Consiglia.

L’accusa formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova, basata su intercettazioni telefoniche e rafforzata dalle ammissioni di Varlese durante l’interrogatorio, fu devastante. La società non solo fu esclusa dai lavori, ma subì anche il sequestro totale di beni immobili e conti correnti contenenti ingenti somme di denaro.

La condanna fu confermata sia in primo grado che in appello, ma fu poi temporaneamente annullata in seguito al ricorso presentato dall’avvocato Dario Vannetiello alla Corte di Cassazione. La seconda sezione della Suprema Corte decise di annullare la sentenza di condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione, ordinando un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello.

La svolta nell’accusa si è verificata nel nuovo processo presso la Corte d’Appello territoriale, terza sezione penale. Quest’ultima, condividendo le argomentazioni legali avanzate dall’avvocato Vannetiello, ha assolto gli imprenditori revocando anche il precedente sequestro dei beni. Di conseguenza, ha ordinato la restituzione dei beni immobili e del denaro sui conti correnti ai legittimi proprietari.


Articolo pubblicato il giorno 25 Febbraio 2024 - 10:32


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