La storia della sua conversione all’Islam che gli ha salvato la vita dopo essere stato arrestato nel nord-ovest della Siria da una milizia una volta legata ad al Qaida era già venuta fuori all’atto del suo trasferimento in Italia.
Ma oggi Bruno Carbone, il noto broker internazionale della droga socio in affari del super narcos Raffaele Imperiale lo ha ripetuto anche in un aula di giustizia italiana. Lo ha fatto infatti davanti ai giufici ai giudici della settima sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Marta Di Stefano).
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Rispondendo alle domande del sostituto procuratore Maurizio De Marco e degli avvocati. Stamane infatti è stata celebrata una delle udienze che lo vedono imputato insieme al boss dei Van Gogh ovvero Raffaele Imperiale e a tutti gli altri complici di camorra.
“Sono stato liberato grazie a un accordo, credo con i servizi segreti, un accordo con i jihadisti che mi hanno sequestrato: sono grato all’Italia”. La milizia a cui fa riferimento si chiama la Hayat Tahrir al Sham (Hts), è una formazione militante salafita, che è molto legata ad Ankara e attualmente attiva e coinvolta nella guerra civile siriana.
Ha spiegato ancora Carbone: “Il 4 novembre 2022 sono stato prelevato e messo davanti a una telecamera con un cartello in mano. Dieci giorni dopo, il 14 novembre, sono stato consegnato a delle persone che mi hanno portato in Italia. In quella prigione, ci rimase un mio stretto collaboratore, Anass Zamouri. Non so che fine ha fatto, forse è ancora, lì, forse è morto”.
Durante la sua fuga da Dubai, per sfuggire agli investigatori italiani, nel mese di agosto di due anni fa dopo la cattura di Raffaele Imperiale e Raffaele Mauriello il broker Carbone fu dunque catturato dal gruppo jihadista e detenuto in una camera con altre quaranta persone.
Le autorità italiane intervennero per aiutarlo, anche se ancora oggi non è a conoscenza di tutti i particolari che hanno portato alla sua liberazione. Si pensa ad un accordo raggiunto, forse con le autorità turche che avrebbero poi mediato con i jihadisti. La liberazione è stata resa nota dai turchi in una conferenza stampa.
Carbone, è diventato poi un collaboratore di giustizia e le sue rivelazioni insieme con quelle di Raffaele Imperiale, pure lui passato a collaborare con lo Stato, hanno contribuito smantellare un ingente traffico di droga dal Sud America attraversa Olanda, e Spagna verso l’Italia e in particolare verso la Campania e la Calabria e a fare arrestare decine di persone.
Ma ha anche fornito dettagli sui suoi legami con la ‘ndrangheta durante la sua testimonianza davanti ai giudici della settima sezione penale di Napoli, presieduti da Marta Di Stefano, e al sostituto procuratore Maurizio De Marco. Rispondendo alle domande degli avvocati del collegio difensivo in un video collegamento, Carbone, che appare di spalle da una località segreta di detenzione, ha svelato alcuni aspetti cruciali delle sue attività criminali.
Il narcotrafficante ha indicato che il porto di Gioia Tauro era sotto il comando di Bartolo Bruzzaniti, originario di Locri e ritenuto uno dei più importanti narcotrafficanti a livello internazionale, arrestato in Libano. Carbone ha dichiarato di avere legami con i Mammoliti, una ‘ndrina calabrese, che acquistava la cocaina sia a Napoli che a Roma.
Carbone ha spiegato il suo coinvolgimento nella logistica del traffico di droga, evidenziando che trasferiva denaro per l’acquisto di cocaina da Panama, Ecuador e Colombia con un semplice “click” o attraverso messaggi chat, utilizzando cambisti di fiducia. Ha sottolineato di essere stato responsabile del rifornimento di cocaina per l’intera città di Napoli, trasferendo denaro in tutto il mondo per scopi illegali.
In particolare, Carbone ha approfondito il trasferimento di una tonnellata di cocaina in Australia, che ha incontrato delle complicazioni, e ha affermato di essere stato lui, da Dubai, a “aprire il mercato australiano”. La sua testimonianza fornisce ulteriori dettagli sulle attività criminali internazionali e sul coinvolgimento di personaggi chiave nel mondo del narcotraffico.
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