L’informativa dei carabinieri sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, la ragazza trovata morta in un ufficio di via Poma nel 1990, punta il dito contro Mario Vanacore, figlio del portiere dello stabile.
I militari avrebbero ricostruito ogni singolo passo della giornata dell’omicidio, ma la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del fascicolo, ritenendo che le prove a carico di Vanacore siano insufficienti.
Secondo l’ipotesi dei carabinieri, il pomeriggio del 7 agosto 1990 Vanacore sarebbe entrato negli uffici di via Poma, dove Simonetta Cesaroni lavorava come segretaria. Trovatosi davanti alla ragazza, avrebbe tentato di violentarla, ma lei lo avrebbe respinto e lo avrebbe ferito. A quel punto, l’uomo l’avrebbe picchiata e uccisa, colpendola con 29 coltellate.
A coprire le responsabilità di Vanacore sarebbero stati i suoi stessi genitori, Pietrino e Giuseppa De Luca. I due avrebbero mentito agli investigatori nella fase delle indagini, tirando in ballo anche il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, Salvatore Volponi.
La procura di Roma, tuttavia, non ha ritenuto sufficienti le prove a carico di Vanacore. In particolare, i magistrati hanno sottolineato che l’ipotesi di un tentativo di violenza sessuale non è supportata da elementi concreti.
Inoltre, hanno rilevato che le dichiarazioni dei testimoni che hanno visto Vanacore nei pressi degli uffici di via Poma nel pomeriggio dell’omicidio sono contraddittorie.
La richiesta di archiviazione è stata inviata al gip di Roma, che dovrà pronunciarsi nei prossimi giorni.
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