La Guardia di Finanza di Catania, su delega della Procura Distrettuale della Repubblica, ha eseguito un’operazione antimafia che ha portato all’arresto di 15 persone tra le province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine, ritenute affiliate al “gruppo di Picanello” del clan Santapaola-Ercolano.
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Le indagini, coordinate dalla Dda di Catania, hanno permesso di ricostruire le attività criminali del sodalizio, che si occupava di usura, estorsioni, traffico di droga e gioco d’azzardo.
In particolare, gli indagati avrebbero erogato prestiti a tassi usurari, con un tasso di interesse che oscillava tra il 140% e il 350% su base annua. Per garantire il pagamento delle rate, avrebbero utilizzato metodi mafiosi, come minacce e intimidazioni.
Il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato infine assicurato da un imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, che avrebbe messo a disposizione le proprie società per occultare l’origine delittuosa dei soldi e per il successivo reimpiego in attività economiche.
Tra gli arrestati figurano i due reggenti della cosca, nel quartiere, Carmelo ‘Melo’ Salemi, di 65 anni, e Giuseppe Russo, di 48, detto ‘il giornalista’ o ‘l’elegante’ che avrebbero utilizzato una stalla per gli incontri con i loro sodali.
Uno dei protagonisti di queste attività, ricostruisce la Dda, sarebbe Nunzio Comis, 40 anni, figlio del boss Giovanni, arrestato dal Nucleo Pef della Guardia di finanza di Catania in flagranza di reato nel 2020 mentre riscuotere il pagamento di una rata di un prestito a usura da un imprenditore.
Comis avrebbe utilizzato un telefono aziendale intestato fittiziamente a un’altra persona, facendosi chiamare ‘Melo’ durante le conversazioni per evitare di essere facilmente identificato. Inoltre, sottolineano gli inquirenti, avrebbe utilizzato un noto bar di Picanello come “punto di incontro per la riscossione delle rate da parte degli indebitati”. Gli importi sarebbero stati consegnati a Lorenzo Antonio Panebianco, 23 anni, indagato e all’epoca impiegato del bar.
Dalle indagini sarebbe anche emersa l’esistenza di una cassa comune del sodalizio in cui far confluire i proventi delle attività illecite e da cui attingere per supportare economicamente gli affiliati detenuti o ex detenuti da poco usciti dal carcere e le relative famiglie, sostenendone le spese di viaggio in occasione delle trasferte per i colloqui, erogare gli stipendi, pagare gli onorari degli avvocati difensori degli affiliati e reinvestire in altre attività criminali.
Vi sarebbe stata anche una contabilità, chiamata ‘la carta’, con appunti scritti recanti i creditori e debitori nonché i guadagni e le spese sostenute. Il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato assicurato da Fabrizio Giovanni Papa, imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, ritenuto particolarmente legato al gruppo di Picanello e a Salemi, al quale avrebbe messo a disposizione le proprie società per il riciclaggio di ingenti quantità di contanti provento delle attività criminali del clan. Numerosi cantieri avviati dalle società di Papa sarebbero sorti mediante gli investimenti dei proventi illeciti dell’associazione mafiosa.
Antonino Alecci, 61 anni; Andrea Caruso, 42; Nunzio Comis, 40; Giuseppe Conti, 36; Michele Cuffari, 32; Alessandro De Luca, 48; Giuseppe Gambadoro, 40; Fabrizio Giovanni Papa, 57; Giuseppe Russo, 47; Carmelo Salemi, 55; Biagio Santonocito, 32; Corrado Santonocito, 60; Alfio Sgroi, 53; Salvatore Alberto Tropea, 33. Agli arresti domiciliari il 23enne Lorenzo Antonio Panebianco. Gli indagati sono complessivamente 26.
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