“Mai visto prima, Raffaele Cutolo. Non potevo immaginare chi fosse. Il presidente Antonio Sibilia disse che era un grande tifoso e voleva conoscermi. Ci scambiai due parole, ma nulla di più: la storia della medaglietta consegnata è un’invenzione”. Juary racconta, in un’intervista a La Stampa, che fu portato ad Avellino “con l’inganno”.
L’ex attaccante brasiliano, una delle figurine più vintage degli anni Ottanta, poi giocò anche con Inter, Ascoli e Cremonese, e col Porto con cui vinse la Coppa dei Campioni segnando il gol decisivo in finale contro il Bayern Monaco. E’ diventato iconico per l’esultanza col giro attorno alla bandierina.
“Seppi del trasferimento ad Avellino solo su un aereo per Roma, dove mi avevano convinto a salire con l’inganno: dopo qualche bicchiere di vino, Nicola Gravina, manager che mi seguiva fin da ragazzino, confessò. Mi disse la verità. ‘Dove cazzo è Avellino? Non ci vado’, protestai. Ma lui sorrise: ‘Sai volare? Perché paracadute non ce n’è’. Andammo nello studio di Sibilia dopo un viaggio in auto da Fiumicino”.
Juary: “Portato ad Avellino con l’inganno, ma fu la svolta”
“Ero incuriosito, inquieto, dubbioso. Invece fu la svolta della mia vita, Avellino diventò casa e il presidente un secondo papà: nei momenti bui c’era sempre, negli affari bastava una stretta di mano”. Juary racconta che per incontrare Cutolo Sibilia gli fece saltare l’allenamento. “Ci trovammo davanti al tribunale”.
E sulla danza della bandierina, racconta che “era nata allo stadio Morumbi prima di un derby con il San Paolo: Osmar Santos, giovane radiocronista, mi chiese di inventare un’esultanza in caso di gol, ne feci tre e ogni volta ballai sulla lunetta. Quella del Cibali fu la prima rete di uno straniero dopo la riapertura delle frontiere”.
Articolo pubblicato il giorno 10 Gennaio 2024 - 11:06