A cura di Demetrio Paparoni.
Un lavoro declinato in contemporanea a Napoli e a Siracusa (Chiesa di Santa Lucia alla Badia) per una doppia esposizione nei due siti simbolo della devozione per San Gennaro e Santa Lucia, figure legate da vicende e sorti simili e ancora oggi amati e vivi nella fede e memoria della collettività.
La mostra che l’artista ha realizzato a Napoli per il Tesoro di San Gennaro apre nel giorno della terza delle celebrazioni annuali in onore del Santo Patrono e dell’auspicato prodigio della liquefazione del sangue, e presenta due opere site specific di grandi dimensioni che si ispirano alla cultura barocca e ai capolavori su rame custoditi nella Cappella e nella Sacrestia del Tesoro di San Gennaro ad opera di Luca Giordano, Jusepe de Ribera, il Domenichino e Massimo Stanzione.
I lavori di Samorì realizzati su grandi lastre di rame (180×141) propongono una rilettura contemporanea e una diversa fruizione delle opere classiche sollecitando nuove percezioni ed esperienze dei dipinti custoditi al Tesoro di San Gennaro. Il sangue è la chiave, il simbolo in cui si riassume il legame tra il santo e il suo popolo, quel sangue che muore come umano e rivive come divino.
Le due opere sono intitolate Il Sangue dei Santi e si ispirano ai dipinti Santa Maria Egiziaca di Jusepe de Ribera (1641) e San Paolo eremita di Luca Giordano (1644), conservati rispettivamente al Museo del Prado di Madrid e al Virginia Museum of Fine Arts.
L’esposizione è stata presentata questa mattina (venerdì 15 dicembre) dall’artista e dal curatore. Dopo i saluti di Mons. Vincenzo De Gregorio Abate Prelato della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, sono intervenuti Eike Schmidt, storico dell’arte, direttore delle Gallerie degli Uffizi, Riccardo Imperiali di Francavilla, Deputato della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, Francesca Ummarino, Direttrice del Museo del Tesoro di San Gennaro e Francesco Imperiali di Francavilla.
“Pittore e scultore che si affida a un’iconografia non estranea ai canoni della classicità, Samorì è tutt’altro che un artista tradizionalista. La sua è una delle testimonianze più pregnanti di come un artista possa amare la classicità e la tradizione e nello stesso tradire entrambe. Nei suoi lavori, a determinare il linguaggio è prima di tutto la scelta dei materiali e delle tecniche da utilizzare. Oltre che su tela, Samorì dipinge su pannelli di legno e su lastre di rame, di ottone e di vari tipi di pietra e marmo. Su rame in più casi, oltre alla pittura a olio, utilizza acidi che fa gocciolare per ottenere un’ossidazione controllata del metallo da cui prende vita l’immagine. Spesso interviene sulla superficie dipinta non ancora del tutto asciutta con gli strumenti dell’incisore – bulino, bisturi, sgorbie, scalpelli – sollevando grandi lembi di pittura che, ricoprendo i corpi dei suoi soggetti, appaiono simili a pelle, oppure staccando dal supporto lunghi filamenti che diventano, di volta in volta, capelli, ciglia, corde di uno strumento musicale.” Demetrio Paparoni curatore della mostra
“Il colore del rame, rosato e rossastro ben si presta alla rappresentazione del corpo e, in particolare, del suo dentro. Non a caso il rame è utilissimo alla produzione dei globuli rossi, delle ossa e dei tessuti connettivi ed è anche il metallo che l’umanità usa da più tempo, qualcosa che riporta ad una origine dei gesti, come quella degli eremiti che idealmente si scavano una nicchia nel vano delle finestre della sagrestia. […] Metaforicamente, in questi dipinti, entrambi gli eremiti sono stati decollati come lo fu San Gennaro e il loro sangue/rame precipita a terra. Sono decollati perché tutte e due le figure sono materialmente private della testa che lascia di sé l’orma sul rame e uno strascico di luminosissima pelle/sangue […] Per me ogni opera è una sintesi del vivere: è fatta di cura e di collera, di adorazione e di ripulsa. E fra la costruzione di una forma solida, senza crepe, e la disintegrazione della stessa, esiste un intervallo che mi attrae più di ogni altra cosa: è la forma esausta – a me piace chiamarla “sfinita” – che si arresta un passo prima della sua stessa sparizione, in una oscillazione fra la forma e l’informe, fra l’essere e il non essere, fra il narrare e il tacere.” Nicola Samorì
La mostra rientra negli intenti della Deputazione che da sempre ha il compito e la responsabilità di custodire le reliquie e il Tesoro di San Gennaro, e di continuare a promuovere ed innovare l’interesse per il culto del Santo Patrono. L’obiettivo è quello di aprire il Tesoro a diverse forme di arte che, nel rispetto della tradizione, rinnovi lo spirito di committenza e di legame tra la città di Napoli e il suo Santo. Il dialogo tra ciò che è stato ed il presente, si manifesta in interpretazioni nuove che aprono a confronti moderni su questioni antiche. In questo senso appare lineare il rapporto tra la ricerca dei lavori di Luca Giordano presenti in sacrestia, da poco restaurati, e quelli appositamente creati da Nicola Samorì, in cui gli obiettivi opposti di compiutezza del primo e di voluta incompiutezza del secondo, si riconciliano nelle tecniche e nei materiali, lasciando al pubblico l’interpretazione della vita dei santi e dei relativi messaggi di fede e valori.
L’esposizione “Luce e Sangue” di Nicola Samorì a Napoli al Tesoro di San Gennaro sarà visitabile fino al 15 gennaio 2024. In contemporanea a Siracusa, fino al 7 gennaio 2024 nella chiesa di Santa Lucia alla Badia, si potrà ammirare l’omaggio dell’artista a Santa Lucia, un dipinto a olio su pietra di Trani in cui l’artista raffigura i tormenti inflitti alla santa dedicato al ritratto il Martirio di santa Lucia (1579) di Deodato Guinaccia.
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