Quella di Filippo Turetta è stata “ossessione del possesso” sull’altra persona, per leggere il suo comportamento dal punto di vista psicologico.
E’ quanto emerge dal suo verbale di confessione: nove ore davanti al pm di Venezia, Andrea Petroni, senza mangiare e solo con alcune bottigliette di acqua, spesso in lacrime, consolato solo dal suo avvocato nella sala colloqui nel carcere di Verona.
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Nel tentativo di chiedere “perdono” per un “omicidio terribile”, Turetta invoca la follia di un momento che annebbia la mente, dettagliando un racconto da verificare in tutti i passaggi. Il verbale sembra orientato a insinuare qualche dubbio sulla reale intenzione di uccidere, suggerendo una possibile linea difensiva.
Il 21enne avrebbe dichiarato di amare Giulia Cecchettin, la vittima, e di non accettare la fine della loro relazione. Ha confermato di voler “pagare e scontare tutta la pena per le mie responsabilità”. Nel corso dell’interrogatorio è emerso che Turetta aveva cercato in vari modi di recuperare la relazione, adottando comportamenti che la vittima definiva violenza psicologica. La sera dell’11 novembre, nel parcheggio vicino alla casa di Giulia, avrebbe dichiarato di aver perso completamente la testa, respingendo l’ipotesi di premeditazione del delitto.
La ragazza cercava di aiutarlo nonostante lui la ricattasse minacciando il suicidio. Nel corso dell’aggressione, Turetta la spinge a terra e la colpisce con calci, con il vicino che dà l’allarme senza ottenere risposta dal 112.
La seconda fase dell’aggressione avviene in una zona industriale di Fossò, dove Giulia lotta per quasi 30 minuti. Turetta afferma di non aver pensato di “far del male” all’ex fidanzata, anche se un coltello con una lama da 12 centimetri viene trovato nell’auto di Turetta in Germania.
La difesa potrebbe tentare di giocare la carta dell’omicidio preterintenzionale, sostenendo che l’azione è andata oltre le intenzioni, ma il gip ha già sottolineato la “palese” volontà di omicidio dalle “modalità dell’aggressione” a “più riprese”. Se le indagini saranno completate entro sei mesi dall’arresto, gli inquirenti potranno chiedere il processo con rito immediato, con la possibilità di contestare ulteriori aggravanti come la premeditazione, la crudeltà o i motivi abietti, che potrebbero portare alla pena massima dell’ergastolo.
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