I numeri 10 “sono spariti perché ora è un altro calcio. È un’altra visione, un altro modo di giocare. Ora prevale il fisico sulla tecnica. Nel tempo in cui giocavo io c’erano sempre, in ogni squadra in Italia o all’estero, uno o due giocatori di altissimo livello. C’erano uno o due numeri dieci potenziali. Insieme facevano il numero venti. Saremo stati fortunati, ma il calcio era più bello”. Lo dice Francesco Totti, intervistato da Walter Veltroni per il “Corriere della Sera”.
Tutto è cambiato con Sacchi? “Vedi, il dieci era un giocatore diverso dagli altri dieci. Era uno che doveva correre meno ma sfruttare ogni occasione di talento: un assist, un tiro al volo, un dribbling difficile. Doveva essere lucido, sempre fresco. Per questo il dieci tornava di meno. Sacchi portò tutti a rientrare in difesa. E questo fece sparire lo spazio tecnico per il dieci considerato come il fulcro della squadra, l’elemento di sorpresa. Il calcio si è fatto più organizzato, ma meno sorprendente”.
A te chiedevano di tornare? “No. L’unico era Zeman, che faceva un gioco alla Sacchi. Con il suo 4-3-3 era previsto che io tornassi. Per fortuna su quella fascia c’erano Candela e Di Francesco che correvano anche per me”. Quanto contano i gregari dei numeri dieci? “Per me sono più importanti i gregari dei numeri dieci. Nei novanta minuti sono loro decisivi. Senza gli uni non ci sarebbero gli altri. Pensa a Platini senza Bonini, a Rivera senza Lodetti. Gregario è una bellissima parola, non solo nel ciclismo o nel calcio. Tutti siamo gregari di qualcosa o di qualcuno, nella vita”.
Oggi vedi un numero dieci nel calcio mondiale? “No, non esiste più. Si è estinto, quel ruolo. E infatti non trovo una squadra che mi entusiasmi. Ma ti ricordi il Real Madrid, il Barcellona, il Liverpool, l’Inter del triplete”. Quali sono le doti che deve avere? “Tecnica, ovviamente. Ma soprattutto la velocità di testa. Se tu capisci le cose prima degli altri, se vedi i movimenti dei compagni di squadra, se tocchi la palla una volta meno del necessario, tu hai già fatto il tuo, da numero dieci. Direi che questa è la caratteristica: vedere prima e fare prima. Io ero fortunato perché avevo Perrotta, Delvecchio, Di Francesco che sapevano e capivano come giocavo io e, a loro volta, sapevano dove avrei messo la palla. Lo sapevano prima, anche loro. Se uno ha talento, cioè anticipa il normale, tutta la squadra gira più veloce”.
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