Sinner, quello nella vasca da bagno piena di palline. Sinner, quello con la carta di credito. O Sinner, quello della linea superveloce. Sinner, quello sulle bandiere, su tutte le facciate di Torino, o sulla prima pagina di due quotidiani sportivi su tre (per il terzo 55 giorni fa era un “caso nazionale” a caratteri cubitali, per aver osato saltare il gironcino di Coppa Davis, e quindi oggi l’apertura è di Mazzarri). Sinner, quello che ha battuto Djokovic. A Torino, con tutta la retorica accessoria della “bolgia” tricolore.
Ecco, soprattutto quel Sinner lì. Quello che rimette il Paese in piano, davanti alle tv come Luna Rossa, o Alberto Tomba, o Valentino. Il Sinner nazionalpopolare nonostante i capelli rossi e la cadenza austriaca, i ghiaccioli nelle vene, e tutta la sobrietà che non ci appartiene. Era esotico, Sinner. Ora è Pippo Baudo e Raffaella Carrà. Ora che sta dominando le Atp Finals, il torneo dei Maestri, ora che ha battuto il numero 1 al mondo di questa e forse di tutte le ere del tennis, solo ora Sinner è un termine di paragone. Non più “come Panatta”. Ma quasi – ci manca poco – “come Sinner” e basta.
“Sinner santo subito” sugli striscioni (il santo peccatore, che meraviglia di crasi), i tifosi vestiti da carote, il palazzetto sudato nella notte sabauda. Le tv, a casa, a riflettere nel buio delle finestre i colori in hd: è una foto che conosciamo a memoria, da quella corsa di Fantozzi nella città spoglia mentre si gioca Italia-Inghilterra e McKinley “ha fatto palo”. Un Paese intero che al solito sonnecchia davanti a mille lentissime partite di calcio, spolliciando sui social, scopre d’incanto che due campioni segnano 109 punti a testa e alla fine vince solo uno.
Tre set, e un tiebreak finale: i rigori del tennis, con tutta la pazzia annessa. I suoi astrusi meccanismi che adesso cavillano sul percorso del “nostro eroe”: ha vinto la prima, con Tsitsipas, ha vinto la seconda con Djokovic e non basta ancora. Rischia di uscire in terza giornata, contro quel diavolo d’un Rune. Di cosa parliamo allora? Djokovic potrebbe ritrovarselo in finale, con la vendetta nel ghigno e la cattiveria della partita senza appello.
Sinner però è un fenomeno scomodo, non preventivato, diverso. E’ una mania, ma che segue canoni laterali. E’ quasi educativo, averci a che fare. Insegna una nuova postura emotiva. E’ fisioterapia del tifoso. L’Italia che fa letteratura sportiva sui cliché della Grande bellezza, sui talenti ispirati, quelli “innati”, ora si ritrova a banchettare alla festa di uno che ha come motto “sorrido poco ma mi diverto un sacco”.
Un altoatesino senza caciara. Uno meticoloso ed ossessivo. Uno che come superpotere non ha la veronica illuminata da qualche dio celeste, ma una mazzata bellica. Bum. Colpi a mitragliate, ma non di forza bruta, no: tecnica perfetta, catena cinetica fluida, un porno per i cultori del genere. Sinner è uno che suda. Non è Baggio o Rivera. Sta in campo come un saldatore, dal primo punto all’ultimo.
Non si disunisce mai (come ammoniva Capuano nel film di Sorrentino). E se sta sotto non conosce panico. Djokovic ha una palla break? Ace. E’ una lingua che in Italia parliamo pochissimo, questa del campione solido, consapevole, professionista. Sinner era Sinner anche quando perdeva, però. E la gente si sfilava, se non arrivava in fondo a quel benedetto mille di Shanghai. Era Sinner perché stava costruendo il Sinner di Torino.
“Se non ero in Davis è perché ero a Montecarlo a farmi il mazzo altrove”, ha detto poco tempo fa. No, non disse proprio “mazzo”. Disse “mi spacco di lavoro”. Ma il senso di responsabilità è lo stesso. Non riconosciuto da chi ne faceva istericamente un “caso nazionale”. Nella stessa intervista dice: “Mi piace quando la gente sale sul mio carro…”. Nel frattempo, in nemmeno due mesi ha vinto 15 partite su 16, battendo Djokovic, Alcaraz, Tsitsipas e Medvedev (com’era l’adagio? “Non batte mai i top 5”…); ha vinto due titoli Atp; è diventato numero 4 al mondo. Guarda come è zeppo il carro, adesso.
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