Il clan Abbinante ha una doppia faccia, capace di trafficare tonnellate di droga, parlare e fare affari con i cartelli colombiani, e allo stesso tempo di imporre il pizzo anche agli ambulanti che vendevano oggetti usati a Secondigliano.
A marzo 2018, Arcangelo Abbinante impose 50 euro al mese di estorsione a una signora che guadagnava al massimo 20 euro a settimana: “Tu devi chiudere con 50 al mese, vedi che devi fare, venditi la bancarella, fai quello che vuoi, ma devi darmi i soldi”.
Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Nicola Marrone, eseguita dai carabinieri, c’e’ il racconto di cosa e’ stato e cosa e’ diventato uno dei clan piu’ potenti dell’area Nord di Napoli che e’ sopravvissuto a tre faide (con i Di Lauro, per due volte, e con i ‘girati’ di via Dante) e decide grazie al patto di sangue che lega gli affiliati.
Il comando della cosca e’ affidato in via diretta a chi porta il cognome Abbinante, Guido, Francesco, Antonio, Arcangelo, e ancora Francesco jr, Antonio jr. Al rione Monte Rosa comandavano loro.
Oltre alla droga e ai traffici ‘spiccioli’, nella misura cautelare e’ ricostruito il metodo Abbinante, che e’ quello che per anni hanno usato dai clan del Casertano, ovvero l’imposizione ai negozianti di materie prime, il pane e la mozzarella, e anche le buste di plastica.
Dodici collaboratori di giustizia, tra cui Gennaro Notturno, ne hanno parlato. Il primo step, come scrive il gip, era quello di imporre il prezzo ai distributori. E per imporre il prezzo i pentiti intendono, esigere il ‘pizzo’. Mille euro al mese per commerciare in esclusiva nel rione.
Poi partiva la seconda parte, constringere all’acquisito di quella merce da quei distributori tutte le salumerie e supermercati. Per le intimidazioni, gli Abbinante potevano contare su un grande esercito di affiliati.
Una “permanente vitalità criminale della storica organizzazione familistica che ha imposto da tempo la propria presenza, anche fisica, al Monterosa, riorganizzando le proprie fila” attorno alla figura di Antonio Abbinante, detto zio Tonino, uscito di prigione.
É il quadro entro cui si colloca il gruppo Abbinante, operante a Scampia, periferia nord di Napoli, ‘ultimo’ clan di Camorra, protagonista anche delle sanguinose faide che hanno fu testato il quartiere agli inizi degli Anni 2000. Nelle 502 pagine dell’ordinanza che ha portato a 37 misure cautelari (tra arresti in carcere, domiciliari e divieto di dimora), gli inquirenti hanno documentato l’egemonia del clan: piazze di spaccio aperte 24 h, estorsioni, taglieggiamenti, la ‘mesata’ agli affiliati.
“Il gruppo – scrive il gip Nicola Marrone – si ricompatta e sana fratture interne proprio quando Antonio Abbinante torna libero. In sua ‘assenza’ a reggere il clan, ma in maniera temporanea, ci sono ‘le giovani leve’: Arcangelo e Francesco Abbinante, colpiti anche loro nel blitz scattato all’alba dei carabinieri della Compagnia Napoli Stella, che hanno eseguito una ordinanza di misura cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia.
Dopo la scarcerazione di Antonio Abbinante, le fratture interne al clan sembrano ricompattarsi alla luce della ‘caratura criminale’ dello ‘zio Tonino’ considerato, fino al 2004, tra i più vicini al boss Paolo di Lauro, detto Ciruzzo ‘o milionario. Erano gli anni in cui ci fu la prima faida di Scampia. In quel momento, gli Abbinante si staccarono dal clan Di Lauro, per affiancarsi al cartello degli Amato-Pagano.
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È triste vedere quanto la criminalità organizzata abbia preso il controllo di queste zone.
È incredibile come riescano a gestire un doppio gioco così complesso.
Sembra che la Camorra sia sempre un passo avanti alle forze dell'ordine.