La tracotanza del clan Rega-Piacente a Brusciano si spinse fino a sfidare apertamente il sindaco che, preoccupato, si rivolse al prefetto di Napoli e anche alla Commissione Parlamentare Antimafia per segnalare la situazione di ingovernabilità della città.
Emerge anche questo dall’ordinanza con la quale il gip di Napoli Fabio Provvisier ha disposto 41 misure cautelari (35 in carcere e 6 divieti di dimora in Campania) notificate stamani dai carabinieri della Compagnia di Castello di Cisterna.
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All’epoca, tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021, era in atto una faida tra i Rega-Piacente e il rivali del clan Esposito-Palermo. La guerra tra le due organizzazioni malavitose spinse l’ex sindaco Giuseppe Montanile a segnalare al prefetto di Napoli le difficoltà che incontrava e il primo cittadino venne sfidato apertamente dalla camorra locale in strada e sui social tanto da finire sotto scorta.
Pochi giorni dopo l’assegnazione della protezione individuale 14 consiglieri comunali su 16 si dimisero e il comune venne sciolto. Qualche mese dopo, il 28 maggio 2021 venne arrestato il boss Bruno Piacente, capo del clan Rega-Piacente ma fu la moglie, Tiziana De Donato, a prendere in mano le redini dell’organizzazione malavitosa.
La De Donato assunse a pieno titolo il ruolo di referente e organizzatrice della vendita della cocaina, riscuotendo gli incassi attraverso altri due indagati: Francesco Cecero e Ciro De Luca. A tutti e tre, oggi, i carabinieri di Castello di Cisterna hanno notificato un arresto in carcere.
Palazzine sotto il totale controllo del clan, residenti a cui erano state sottratte le chiavi delle proprie abitazioni, turni rigidissimi per garantire il ‘perfetto’ funzionamento delle piazze di spaccio 24 ore su 24.
Nelle oltre 400 pagine dell’ordinanza del gip di Napoli, emessa su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea e indagini, condotte dal Nucleo operativo e radiomobile di Castello di Cisterna e coordinate dalla Dda, viene ricostruita la “sfera di dominio sul territorio” con una “operatività non limitata” al traffico di droga, ma estesa ad altri settori.
Turni rigidi e regole severe per gli spacciatori ai quali, per evitare che si ‘rilassassero’ durante il lavoro, erano anche state tolte le sedie. Eppure un tallone d’Achille c’era: il caffè ordinato al bar “durante i turni di lavoro”. È così che, durante le indagini i carabinieri hanno scoperto che una delle donne arrestata all’alba si lamentava dei pusher.
Un “vizio” che è costato ‘caro’ a uno degli indagati, finito in manette. Per arrestarlo, una carabiniera si era finta cameriera del bar, indossando la ‘divisa’ da dipendente del locale, dove erano soliti ordinare il caffè così da convincere i pusher a farsi aprire. Uno stratagemma per il quale l’uomo, che era stato arrestato, era stato definito ‘un pesce’, cioè uno ‘scemo’ che era cascato nella rete tesa dai militari dell’Arma.
Tiziana De Donato (moglie del boss Bruno Piacente in carcere da due anni) a capo della piazza di spaccio intercettata dai militari dell’Arma si era lamentata del vizio di “tutti” i pusher che “quotidianamente chiamavano al bar” dando così modo ai carabinieri di organizzare la trappola.
Lo spaccio avveniva anche sotto gli occhi dei bambini con “devastanti effetti sulla formazione culturale e delle coscienze”, con regole rigidissime. Un ritardo a lavoro poteva costare il licenziamento. I carabinieri hanno, infatti, documentato, il caso di uno spacciatore licenziato per un ritardo di 30 minuti.
Le palazzine del rione 219 erano state trasformate in una ‘azienda’ della droga con una divisione dei ruoli, dai vertici ai pusher, precisa e suddivisa in turni di lavoro. Anche la ‘paga’ ai sodali variava non solo in base al ruolo ricoperto, ma anche alle ore lavorate, con turni di 8 o 10 ore e un impegno richiesto in base al quale variava anche la paga: un turno di 8 ore per una vedetta, il palo, veniva pagato 100 euro, un turno da 12 ore, invece, per la stessa ‘mansione’ 120 euro.
Vedette “statiche” e “dinamiche”. Uno dei ‘pali’ a libro paga del clan – secondo quanto documentato dagli inquirenti – ha girato senza meta per 12 ore in sella a uno scooter elettrico come “vedetta dinamica”. In caso di presenza delle forze dell’ordine, veniva lanciato un segnale. “Quando senti urlare ‘Mario’ devi scappare”, è l’indicazione che viene data agli spacciatori.
È, infatti, il nome “Mario” il segnale d’allarme che indicava la presenza e l’arrivo delle forze dell’ordine. Il luogo ‘sicuro’ in cui scappare era la casa di una delle donne arrestate oggi nel corso del blitz scattato all’alba. Le palazzine erano totalmente controllate dagli spacciatori, del clan che avevano fatto sparire le chiavi e rimosso i citofoni.
Per entrare, dovevano “essere riconosciuti dallo spacciatore di turno” che solo dopo essersi accertato dell’identità di chi aveva di fronte, dava l’ok e “apre il portone”. Gli inquirenti hanno documentato anche un episodio durante il quale lo spacciatore “di turno” ha impedito a una signora, impegnata a fare le pulizia, di proseguire nelle faccende. “Adesso vuoi lavare a terra? No, qua no”, dice lo spacciatore alla donna che interrompe la sua attività.
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