La Guardia di Finanza di Milano, su mandato della Procura della Repubblica di Milano – Direzione Distrettuale Antimafia, ha condotto un’ampia operazione contro il traffico internazionale di sostanze stupefacenti, il riciclaggio, l’esercizio abusivo del credito e la frode fiscale.
L’operazione ha coinvolto oltre 400 finanzieri, che hanno eseguito 46 ordinanze di custodia cautelare (33 in carcere e 13 ai domiciliari) emesse dal Gip di Milano su richiesta della D.D.A. e 12 fermi per indiziato di delitto emessi dalla Procura della Repubblica. Le azioni sono state svolte in varie province italiane, tra cui Milano, Bergamo, Brescia, Monza, Varese, Mantova, Torino, Alessandria, Asti, Prato, Roma, Teramo, Catania e Salerno, oltre che in Spagna. L’operazione è stata supportata dal Servizio Centrale Investigazioni Criminalità Organizzata di Roma, dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga – Dipartimento di P.S. e dal Corpo della Polizia Locale di Milano.
Durante l’operazione, sono state effettuate 96 perquisizioni in tutto il territorio nazionale, in Spagna e in Svizzera, presso abitazioni ed aziende in possesso dei soggetti coinvolti. Le indagini hanno portato all’individuazione dei canali di approvvigionamento e della rete di spaccio di hashish e marijuana, stimati per circa 30 tonnellate, con traffici del valore di 42 milioni di euro e un giro di contante di 26 milioni di euro in poco più di un anno.
Nel corso dell’indagine sono stati sequestrati 10 compendi aziendali, 52 immobili in Lombardia e altre regioni del Nord Italia, beni mobili e disponibilità finanziarie per 9 milioni di euro, ritenuti di provenienza illecita o sproporzionati rispetto al reddito o all’attività economica svolta dai membri dell’organizzazione criminale. Questa organizzazione era composta da un gruppo di italiani e spagnoli, coadiuvati da individui di etnia albanese e cinese.
L’indagine si è concentrata anche sui metodi di pagamento utilizzati dai narcotrafficanti. Essi, per saldare gli acquisti di droga, usufruivano di “servizi bancari” abusivi gestiti da individui di etnia cinese, che agivano come centri di raccolta del denaro da trasferire in Spagna. Questo sistema si basa su un meccanismo di rimessa informale di denaro denominato fei’chi en, simile alla hawala islamica. I soggetti cinesi ricevevano contanti da trasferire in Spagna in modo anonimo, veloce e non tracciabile, dietro pagamento di una commissione variabile dall’1,5% al 2%.
Il metodo di pagamento individuato si basava sulla compensazione senza trasferimento fisico di valuta, mediante partite di credito/debito bilanciate tra connazionali cinesi inseriti in un circuito criminale transnazionale. Per accettare il controvalore nominale della somma versata in Italia, veniva utilizzato un codice di riconoscimento, solitamente rappresentato dal seriale di una banconota di piccolo taglio consegnata dal corriere al collega spagnolo.
L’indagine ha inoltre rivelato che il denaro consegnato dai trafficanti di droga agli esercizi commerciali cinesi, per importi nell’ordine delle decine di milioni di euro, veniva successivamente “venduto” a un’altra associazione criminale composta da imprenditori italiani attivi nel settore dell’acciaio e della plastica. Questi erano coinvolti in frodi fiscali attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con bonifici all’estero verso Cina, Svizzera e Hong Kong. Nel contesto del piano fraudolento, il pagamento delle fatture per operazioni inesistenti era legato alla successiva conversione degli importi in denaro contante, senza essere tracciati dagli organismi antiriciclaggio.
Questo caso testimonia il costante impegno dell’Autorità Giudiziaria e della Guardia di Finanza nel contrastare il narcotraffico, i traffici illeciti e ogni forma di criminalità.
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