Nessun “patto” tra le tre mafie, Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra in Lombardia, così come viene contestato nella nuova inchiesta della Dda milanese, smontata, invece, dal gip di Milano Tommaso Perna che ha respinto oltre 140 richieste di arresti per altrettanti indagati.
Il giudice, infatti, ha disposto il carcere solo per 11 persone, ma non per associazione mafiosa e solo per altri reati. La Dda, dunque, ha deciso, comunque, di chiudere le indagini, contestando sempre “l’alleanza” tra le tre mafie e di fare ricorso al Riesame per le richieste di custodia cautelare respinte.
Nel corso del blitz sono state effettuate 60 perquisizioni con l’impiego di oltre 600 carabinieri sull’intero territorio nazionale e si è proceduto al sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro
È indagato anche l’uomo al Nord di Matteo Messina Denaro nella maxi inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano sul ‘sistema mafioso lombardo’, una sorta di ‘consorzio’ fra esponenti di cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra che agirebbero dietro coordinamento e in maniera trasversale.
Si tratta di Paolo Aurelio Errante Parrino, già condannato a partire dal 1997 per mafia come appartenente al mandamento di Castelvetrano, all’epoca guidato dal padre dell’ex superlatitante, Francesco Messina Denaro. Parrino è ritenuto dalle pm Alessandra Dolci e Alessandra Cerreti il punto di collegamento fra il Trapanese e la Lombardia.
In particolare vengono documentati incontri avvenuti nel 2015 in un bar sia con la sorella del latitante, Rosalia Messina Denaro, che con Girolamo Bellomo, marito della figlia di Filippo Guttadauro, cognato dell’ex boss defunto.
Parrino è indagato per aver fatto da intermediario in una controversia da 2mila euro al mese per conto della famiglia trapanese dei Pace; sarebbe stato in stretto contatto con la famiglia Messina Denaro, come documentano incontri avvenuti nel novembre 2021 con le sorelle Bice Maria e Giovanna, il nipote Vito Panicola e la madre Lorenza Santangelo.
Ad Abbiategrasso sarebbe stato il “punto di riferimento” per “dirimere problematiche locali” (per esempio nell’assegnazione di una casa popolare) e avrebbe avuto “perduranti e confidenziali rapporti con esponenti della politica locale” fra i quali il sindaco Francesco Cesare Nai.
Infine avrebbe partecipato ad alcuni dei summit con esponenti trasversali delle diverse organizzazioni mafiose che costituiscono l’ossatura dell’inchiesta di Dda e carabinieri di Milano e Varese sull’esistenza di un consorzio di mafie in Lombardia.
Per il gip Tommaso Perna che, per il 76enne Parrino come per altre 142 persone ha respinto la richiesta di misura cautelare opponendosi alle tesi delle pm, “non è in alcun modo possibile affermare che” Parrino “abbia proseguito, anche dopo la prima condanna del 1997, il suo rapporto di affiliazione al Mandamento di Castelvetrano, né tantomeno all’associazione lombarda ipotizzata”.
In particolare il Gip si sofferma sull’assenza di contestazioni da parte dei pm dei cosiddetti “reati fine” ma solo dell’appartenenza all’associazione mafiosa che “dovrebbe ricavarsi unicamente dalla presenza di alcuni indici rilevatori interni al sodalizio stesso”.
Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice della “locale” di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese) arrestato nel 2019 nell’operazione “Krimisa”, a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda e dei Carabinieri del nucleo investigativo di Milano sull’esistenza di un presunto “sistema mafioso lombardo”. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano Tommaso Perna.
In particolare, De Castro avrebbe fornito alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Alessandra Cerreti i nomi di Massimo Rosi (arrestato) e Gaetano Cantarella, detto ‘Tanu u’ curtu’, dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra.
A Rosi, 37enne con precedenti, e’ stato attribuito un ruolo centrale nella “creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale”. Una ricostruzione non condivisa dal gip che ha ritenuto, invece, che Rosi abbia agito “soprattutto nel settore del narcotraffico” in qualita’ di “componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi”.
La “operatività” del “sistema mafioso lombardo” sarebbe stata “decisa congiuntamente dalle tre componenti mafiose”, ossia ‘ndrangheta, camorra e Cosa Nostra nel corso di 21 “summit” tra il marzo 2020 e il gennaio 2021. Emerge dalle imputazioni formulate dalla Dda di Milano e contenute nell’ordinanza di oltre 2mila pagine del gip di Milano Tommaso Perna, che ha bocciato, però, l’impianto accusatorio.
Secondo le accuse nelle indagini, il patto tra mafie avrebbe avuto anche lo scopo, tra i tanti, di mantenere “contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario, in modo da ottenerne favori, notizie riservate, erogazioni di finanziamenti, rete di relazioni” e di condizionare “il libero esercizio di voto”.
Agli atti intercettazioni come “abbiamo un bel pacchetto di voti, perché posso portare o senatori in Europa”. Parole di Filippo Crea, presunto ‘ndranghetista, indagato. Tra le decine di attività illecite che, secondo la Dda, il “sistema” di mafie avrebbe portato avanti, c’è anche l’acquisizione di “appalti pubblici e privati, anche attraverso l’attivazione di canali istituzionali”.
Per la Dda milanese, i “vertici” delle tre mafie avrebbero operato “allo stesso livello” per mandare avanti il “sistema mafioso lombardo”, ossia la “confederazione”. Gli inquirenti, nella maxi imputazione per associazione mafiosa sull’alleanza (bocciata in toto dal gip), elencano nomi e famiglie delle tre mafie che avrebbero preso parte al patto: per Cosa Nostra, tra le altre, la “famiglia Fidanzati”, il “mandamento di Trapani” con “al vertice Messina Denaro”, e i Rinzivillo; per la ‘ndrangheta la “locale di Legnano-Lonate Pozzolo”, tra cui la ‘vecchia conoscenza’ della ‘ndrangheta lombarda Vincenzo Rispoli, la cosca Iamonte e Antonio Romeo; per la camorra il gruppo “Senese”, collegato a quello di Michele Senese, con base a Roma.
Alcuni dei summit si sarebbero tenuti a Dairago (Milano) negli uffici della “Servizi integrati”, una delle aziende riconducibili alle mafie. Altri a Cinisello Balsamo, nel Milanese, anche nel marzo 2021, altri ancora ad Abbiategrasso (Milano). Incontri per parlare, si legge, a volte di “stupefacenti”, a volte di “superbonus 110%”.
L’alleanza, secondo le indagini, avrebbe avuto come “scopo” la commissione di una sfilza di “gravi” reati, tra cui anche “la scomparsa per ‘lupara bianca’ di Gaetano Cantarella, il 3 febbraio 2020”. E poi ancora “rapine, truffe, riciclaggio, intestazioni fittizie, false fatturazioni”, cessioni di “falsi crediti d’imposta, estorsioni”, recupero crediti, traffico di droga, acquisto e detenzione di armi.
E ancora la “cassa comune” per i detenuti e i contatti con la politica e i colletti bianchi. Poi le “manovre finanziarie” con “società intestate a prestanome” (54 quelle elencate), alcune pure con sede a Londra e nel Delaware. Società nelle quali, secondo le indagini, erano presenti nelle compagini i vari esponenti delle tre mafie. E società con cui, poi, si sarebbero infiltrati nei settori della logistica, edile, sanitario anche per “forniture legate all’emergenza Covid” o per servizi di ambulanza “per trasporto dializzati”, nell’e-commerce, nella ristorazione, nel noleggio auto, nella gestione dei parcheggi aeroportuali. E ancora “importazione di gasolio” e “materiali ferrosi”. Oltre che, sempre secondo la Dda, le mani allungate sugli appalti.
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