Resta alta la tensione nella Casa di reclusione di Civitavecchia, dove ieri si è verificato un grave atto di violenza.
La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPe, per voce del segretario nazionale del Lazio Maurizio Somma: “Ancora violenze nel carcere di Civitavecchia. Presso la III^ Sezione c’è stata una aggressione nei confronti di un poliziotto.
L’agente ha richiamato il detenuto lavorante, di origine rumene, dicendogli cambiare i sacchi della spazzatura: questi, all’improvviso, senza nessuna ragione, gli ha tirato un violento calcio in pieno petto, senza nessuna grave conseguenza, per fortuna, anche se il collega è stato poi portato in ospedale e gli hanno refertato una prognosi di sette giorni. Non se ne può più!”.
“La situazione nelle carceri del Lazio, ed in quella di Civitavecchia in particolare, è critica”, denuncia Somma: “ci si aspetta forse un gesto ancora più violento ed eclatante affinché qualcuno possa intervenire, dimenticando che chi opera all’interno degli istituti sono uomini e donne dello Stato che rischiano la vita ogni giorno per garantire la sicurezza in un carcere?”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, esprime solidarietà al poliziotto contuso a Civitavecchia ed è impietoso nella sua denuncia: “Siamo preoccupati dall’alto numero di eventi critici che si registrano ogni giorno nelle carceri: e siamo sconcertati dall’assenza di efficaci provvedimenti contro coloro che si rendono responsabili di queste inaccettabili violenze, anche perché questo determina quasi un effetto emulazione per gli altri ristretti violenti.
Aggressioni, colluttazioni, ferimenti contro il personale, così come le risse ed i tentati suicidi, sono purtroppo all’ordine del giorno. È per noi importante e urgente prevedere un nuovo modello custodiale ed è necessario intervenire con urgenza”.
Per Capece non c’è più tempo da perdere: “servono interventi urgenti e strutturali che restituiscano la giusta legalità al circuito penitenziario intervenendo in primis sul regime custodiale aperto.
La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere: certo non indulti o amnistie”
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