La mattina del 6 settembre i Carabinieri di Avellino hanno bussato alla porta di casa Pagnozzi, per eseguire un’ordinanza cautelare destinata a Paolo figlio di Gennaro detto il Giaguaro, messo agli arresti domiciliari presso la sua abitazione di San Martino Valle Caudina col divieto di comunicare con persone diverse dai propri familiari.
Al secondo genito del defunto Pagnozzi Gennaro venivano contestati con il ruolo di mandante i reati di usura ed estorsione aggravati dal metodo mafioso e dall’aver favorito il Clan Pagnozzi, di cui, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Paolo Pagnozzi sarebbe il reggente.
Nel tardo pomeriggio di oggi, però, il Tribunale del Riesame di Napoli, Presidente Maria Vittoria Foschini, ha accolto le argomentazioni del collegio difensivo (avvocati Giuseppe Milazzo del foro di Nola, Immacolata Romano del foro di Napoli e Giovanni Adamo del foro di Avellino) tese a dimostrare l’assoluta estraneità del presunto ras della mala sammartinese evidenziando che le intercettazioni tra Paolo e lo zio Gerardo Marino (assistito dagli avvocati Giuseppe Milazzo e Giovanni Adamo), incarcerato per questi fatti e poi messo agli arresti domiciliari dallo stesso Giudice a seguito dell’interrogatorio di garanzia, benchè suggestive non potessero in alcun modo assurgere ad elementi indiziari da porre a sostegno di una misura cautelare.
Nel corso della lunga udienza tenutasi stamattina davanti al Tribunale della Libertà partenopeo, dopo le discussioni delle difese ed il deposito di copiose memorie difensive, a cui ha anche replicato il Pubblico Ministero dell’Antimafia Francesco Raffaele, il collegio incaricato si è riservato depositando il proprio responso soltanto poche ore fa.
Adesso le contestazioni mosse a Pagnozzi Paolo vacillano ancor di più e risultano appese ad un filo sottilissimo costituito dalle esigue telefonate in cui parlava con lo zio Gerardo Marino ed altri suoi familiari.
Lo sconcerto dei difensori del Pagnozzi, i quali hanno rivendicato l’assoluta carenza di gravi indizi, a fronte di tre anni di indagini fatte di captazioni telefoniche ed ambientali, perquisizioni e mancati sequestri, pedinamenti e dichiarazioni rese dalle presunte persone offese, a loro dire vessate e minacciate dagli strozzini, ha trovato sicuro rifugio nell’ordinanza di scarcerazione immediata.
C’è ora da chiedersi se dopo questo buco nell’acqua la Pubblica Accusa intenderà perseverare con un processo a piede libero oppure fare un passo indietro e chiederne l’archiviazione.
Articolo pubblicato il giorno 15 Settembre 2023 - 21:38