Capelli bianchi come le magliette del suo tennis e occhi limpidi come la sua classe, la foto senza tempo di Nicola Pietrangeli brilla nel pantheon dello sport italiano. E ora che il più grande tennista azzurro di tutti i tempi arriva a 90 anni (li compie l’11 settembre) l’immagine che riluce ne fa il testimonial perfetto del professionismo sportivo vissuto in maniera sana, in campo e soprattutto fuori.
E’ circondato dall’ammirazione generale, Pietrangeli, perché campione capace di andare molto oltre l’agonismo, diventare simbolo di eclettismo e personaggio da copertina anche nel jet set senza mai neppure sfiorare l’effetto cafonal. E così, mentre è in uscita un’autobiografia, Roma e lo sport italiano preparano le celebrazioni.
Per lui hanno concordato una sorta di tregua olimpica anche due grandi nemici della politica sportiva, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e quello della federtennis, Angelo Binaghi: insieme organizzeranno un brindisi per il giorno del compleanno al Salone d’onore del Foro Italico, poi in serata una grande festa in un circolo romano, dove in molti, di svariati settori della società, ambiscono ad essere invitati. D’altra parte, Pietrangeli vanta record trasversali: tennista eccelso, ha la soddisfazione di aver vinto da capitano non giocatore il suo mondiale, portando in Italia nonostante le polemiche ed i venti contrari la famosa coppa Davis del 1976.
A lui è stato intitolato in vita il vecchio campo centrale del Foro Italico, circolo dove trascorre ancora gran parte del suo tempo. Uomo dai tanti talenti, poi, Pietrangeli ha sempre intrecciato la sua vita con il mondo del calcio allenandosi per anni e con buoni risultati con la Lazio e la Roma. Nell’alternare le palle da tennis al pallone ha piazzato nei primi anni Cinquanta un colpo vincente, inventando con un gruppo di amici quello che viene ora chiamato calcio a 5 o Futsal e regalando così un’opportunità di fare squadra e sport a generazioni di italiani.
Tanto è vero che quest’anno gli è stato assegnato dagli organizzatori il premio Bearzot alla carriera, primo al di fuori del circuito delle panchine calcistiche. Insomma, Pietrangeli è un marchio di qualità a tutto tondo. Ma non c’è dubbio che il tennis resti casa sua, edificata a forza di vittorie e colpi eleganti: la terra rossa era la superficie preferita, dove sfoderare un gioco morbido arricchito da un bel rovescio e dalla volée.
Era il segno di classe in uno sport che non aveva ancora inventato il colpo a due mani né la fisicità, e che vestiva ancora tutto immacolato. Pietrangeli però aveva anche una gran tenuta atletica, e chi stilava le classifiche internazionali lo accreditò del terzo posto mondiale per ben tre anni, tra ’59 e ’61. Cinquanta le sue partite al Foro, ma il suo record vero è quello delle partite giocate in Coppa Davis: 164 incontri con 78 successi in singolo e 42 in doppio (con Orlando Sirola ha formato una delle coppie ormai entrate nella leggenda).
La sua fama agonistica, più che ai due Internazionali d’Italia vinti (nel 1957 e nel 1961 con 22 partecipazioni) è legata ai due successi al Roland Garros, nel 1959 e nel 1960. Quella da playboy, perché c’è anche questo nel suo personaggio, alle relazioni (una anche con la giornalista tv Licia Colò) vissute dopo un matrimonio lunghissimo che gli ha dato tre figli.
“Ma la mia fama da donnaiolo è immotivata” ha raccontato spesso “tra l’altro tradivo mia moglie solo all’estero”. Come se esistesse l’extraterritorialità dei sentimenti, ma il doppio fallo dialettico gli è stato perdonato un po’ perché la frase fu pronunciata quando il politicamente corretto non esisteva e molto perché a parlare era lui.
La seconda vittoria a Parigi e quella in Cile in Davis nel 1976, “sono stati i due momenti indimenticabili della mia vita”, ripete spesso. Anche perché quella Davis vinta si doveva al quartetto Panatta-Barazzutti-Bertolucci-Zugarelli, ma soprattutto alla sua ostinata battaglia per arginare i no dell’opinione pubblica al viaggio nel Cile di Pinochet, che gli costò perfino minacce di morte.
A Parigi arrivò in finale altre due volte, nel 1961 e nel 1964, a Roma pure nel 1958 e nel 1966. Anche a Wimbledon i suoi risultati restano tra i migliori dei giocatori italiani: 18 le sue partecipazioni, con una semifinale disputata nel 1960, quando fu sconfitto da Rod Laver in 5 set. E’ stato campione italiano consecutivamente dal 1955 al 1960. Dieci anni dopo agli Assoluti di Bologna la sconfitta contro Adriano Panatta – a cui lo ha legato un profondo dissidio – fu un passaggio di consegne.
Da allora, si è ritagliato il ruolo di padre nobile del tennis azzurro. Una bella rivincita per Nicola Chirinsky Pietrangeli, nato a Tunisi nel ’33 da padre italiano e madre profuga russa (da cui leggenda vuole avesse imparato le preghiere ortodosse, con le quali a volte in campo confondeva gli avversari). A Roma era arrivato a cinque anni.
I ragazzi lo chiamavano Er Francia perché parlava francese, ma poi scelse di restare romano e italiano, costruendo un mito che lo ha portato a entrare nella Hall of Fame internazionale del tennis, a recitare con Virna Lisi e Peter Ustinov, a condurre una Domenica Sportiva.
“Non ho rimorsi, rimpianti sì”, il suo motto, cui aggiunge “ad esempio avrei dovuto essere più furbo con i soldi”. Sarà pure vero, fatto sta che i suoi 90 anni sono stati contraddistinti tutti da una dolce vita figlia di un altro tennis. E a pensarci bene, di un’altra Italia.
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