Il 9 settembre di 25 anni fa ci lasciava Lucio Battisti. L’artista, era stato ricoverato per 11 giorni in un ospedale milanese, dove avrebbe affrontato un intervento chirurgico d’urgenza.
Il 6 settembre le sue condizioni si aggravano ulteriormente e l’8 viene spostato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Paolo di Milano. Lucio Battisti muore la mattina del 9 settembre 1998, all’età di 55 anni; le cause della morte non sono mai state comunicate ufficialmente.
Battisti, nato a Poggio Bustone il 5 marzo del 1943, è considerato uno dei maggiori cantautori italiani, ha inciso in carriera 20 album in studio realizzando vendite per 25 milioni di dischi.
Fu interprete e autore di musica tra i più influenti del Novecento italiano;compose anche per altri artisti(anche internazionali come Gene Pitney, gli Hollies e Paul Anka, mentre per i testi si affidò sempre ai parolieri, con pochissime eccezioni.
Il suo lungo sodalizio con Mogol fu il fulcro del successo e ne costruì l’immagine di interprete della vita e dei sentimenti comuni; questa, che ha segnato in Italia un’epoca musicale e di costume, è rimasta la principale immagine del cantautore, complice il suo ritiro totale dalle scene e dalla visibilità pubblica che mise in pratica dai primi anni ottanta fino alla morte.
I due si conobbero nei primi anni ’60, e da lì iniziò un sodalizio (“come una canzone di Battisti e Mogol”, l’omaggio di qualche anno fa di Mina e Celentano) che proiettò Lucio Battisti in cima alle classifiche italiane nel ventennio ’70-’80: “Lucio manca tanto, se avessimo potuto continuare a scrivere insieme avremmo fatto almeno altri dieci successi”, dice Mogol.
“Se vedo nella musica attuale qualche suo erede? Come scriveva Lucio lo faceva solo lui. Era unico. Come altri: Mango scriveva da Mango, Lucio Dalla da Dalla, non ci sono eredi di questi artisti. C’è sicuramente chi scrive bene, ma non è certo ai livelli di questi compositori”.
A casa davanti a un bicchiere di vino, in auto mentre si guida, in viaggio o nel traffico, con una chitarra a un falò o a casa con amici, dici Battisti e sono tutti ancora d’accordo: “Io faccio molte serate in giro ancora – racconta Mogol – che sono molto richieste. 2-3 mila persone cantano assieme a me le canzoni e quello che mi stupisce è che conoscono le parole a memoria. Ce ne sono di tutte le età. Una cosa incredibile, come se anziché sparire diventassero ancora più di moda”.
Come i Giardini di Marzo, per esempio: “Ah, quella l’ho sentita cantare anche da 70 mila persone allo stadio”, dice con orgoglio l’autore, riferendosi all’inno della Lazio al termine di tutte le partite dei biancocelesti.
“Quello che è incredibile – argomenta – è che anche canzoni meno note sento che le conoscono. Secondo me il giudizio lo emette comunque la gente, facendo durare le canzoni nel tempo”.
E quelle di Battisti-Mogol resteranno per sempre. Anche se resta l’amaro in bocca per una perdita così prematura, perché “da quando non ho più scritto con lui mi è mancata la sua musica, i suoi scritti”, ammette il maestro, rivelando come quella ‘strana’ coppia di successo non fosse frutto di una presenza così intensa: “Noi ci trovavamo per scrivere insieme, una volta all’anno, lavoravamo per una settimana e il disco era finito”.
E uscivano pezzi storici come ‘Acqua Azzurra, Acqua Chiara’, che ad ascoltare Renzo Arbore, neanche entusiasmava così tanto i due: “La lanciai io per primo ed è straordinaria. Quando lui e Mogol vennero a farmi sentire i brani appena scritti per il nuovo 45 giri mi fecero ascoltare ‘Dieci Ragazze’ che io avrei dovuto lanciare nel mio programma in bianco e nero ‘Speciale per voi’.
Dissi che era una canzone molto carina ma che volevo sentire anche il retro. Il lato b era ‘Acqua Azzurra, Acqua Chiara’, come la ascoltai dissi: ma io lancio questa. ‘Dieci ragazze’ è bellina ma niente di rivoluzionario, ‘Acqua Azzurra, Acqua Chiara’ invece è un capolavoro”.
“Di Lucio Battisti – conclude il celebre cantautore e showman – me ne parlò per la prima volta una discografica francese, Christine Leroux. Lucio non aveva ancora incontrato Mogol, e lei mi disse: c’è questo ragazzo che suona con i Campioni, che erano quelli che accompagnavano Tony Dallara, e ha scritto delle canzoni molto belle.
Lui con Mogol venivano o da me o da Boncompagni per farci ascoltare le canzoni che facevano, le quali però venivano date ai Nomadi e ai Dik Dik perché Lucio non voleva cantare. Tuttavia quando venne a Bandiera Gialla a far sentire le sue canzoni, io gli dissi ‘fammele sentire cantate da te’. Lui rispose: ‘ma io non so cantare’. Gli mettemmo tra le mani una chitarra e lui cominciò a esibirsi. Grande successo e da lì è partita una carriera di un innovatore della musica italiana”.
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