“Proporrò a Papa Francesco, in una eventuale nuova visita in Campania, di venire al Parco Verde. Sarebbe un segnale forte di attenzione, di vicinanza”.
Lo dice al quotidiano Il Mattino monsignor Angelo Spinillo, vescovo della diocesi di Aversa nel cui territorio rientra la città di Caivano. Spinillo, dopo la vicenda degli abusi sulle due cuginette, punta l’indice sulle responsabilità del degrado del territorio.
“Penso al capannone dove si è consumato l’orrore sulle cuginette – ha detto – Conosco il posto. Un monumento all’abbandono. E’ di fronte a questo degrado che ci si sente più soli, come persone e come comunità”.
Parlando delle tante strutture realizzate e poi travolte dall’incuria, il vescovo non ha dubbi: “Lo Stato non può lasciare che le opportunità restino inutilizzate, sprecate. E’ una vergogna”.
Sembra quasi un copione che si ripete. La scoperta degli orrori, il dolore per quegli orrori, il dibattitto su quegli orrori. E poi al parco Verde di Caivano torna tutto come prima. Non è la prima volta che in quei vialoni accecati dal sole i bimbi sono vittime di violenze inaudite. Don Maurizio Patriciello, quei vialoni, quelle case, le guarda ogni giorno.
Se si va al Parco Verde la prima cosa che colpisce è il silenzio. Nessuno ha mai voglia di parlare. E quel silenzio c’è anche oggi, dopo che si è scoperto che due bimbe sono state violentate da un branco. “Oggi c’è un clima di morte e di deserto – dice don Maurizio – la gente ha paura”.
Parla dei bimbi, don Maurizio. E dice di aver scritto alla premier Meloni, invitandola a Caivano: “Siamo pronti ad accoglierla, non bisogna lasciare soli i bambini di questo quartiere”. C’è un mondo complesso, a Caivano. Don Maurizio lo conosce bene ma è forse l’unico che ha ancora ha voglia di capirlo.
“Se ho speranza che qui le cose possano cambiare? Sono un credente, sono condannato alla speranza”. In questi anni don Maurizio ha fatto arrivare in quei vialoni, politici, vertici delle forze dell’ordine, gente comune.
Ci ha provato in tutti modi a dire che bisogna fare qualcosa. Ma ad oggi quel qualcosa non è stato fatto. E così si racconta l’ennesima violenza. “Qui non c’è niente, niente. Fu realizzato un centro sportivo quando fu costruito il Parco, era per i bimbi che vivevano qui. Oggi è una pattumiera.
Tempo fa ci è morto un ragazzo per overdose, forse anche in quegli spazi si sono consumati stupri. Ma non è stato fatto niente, tutto distrutto – dice – non ci sono vigili urbani, servizi sociali. Per fortuna c’è la compagnia dei carabinieri ma quella è la parte repressiva, serve anche altro.
Questa gente è stata deportata qui, sì uso un termine forte. Si è scelto di far vivere in unico posto i più poveri dei poveri e di abbandonarli”. Ci sono poi gli adulti. Anzi no, non ci sono, perché don Maurizio si chiede in continuazione “che fine hanno fatto?”.
Se lo chiederà e lo chiederà anche domani nella sua omelia. “Sembra quasi che gli adulti facciano a gara a restare sempre più giovani e i ragazzini facciano la gara a diventare sempre più adulti – aggiunge – ma così rubiamo ai piccoli il loro diritto di crescere gradualmente”.
“Ogni giorno qui vedo solo le madri in giro, loro accompagnano i figli a scuola, al catechismo, ma i padri dove sono?”, continua ancora. Forse nei prossimi giorni incontrerà le famiglie delle piccole.
Anticipa che organizzerà un convegno per cercare di unire tutte le persone che per quel parco possono fare qualcosa. Ma intanto è a tutti che rivolge un appello, l’ennesimo. “Se non agiamo tutti insieme, le cose non cambieranno e resteranno solo le parole”, dice fermo. E la realtà, a Caivano, è sempre stata questa: il clamore, il dolore. E poi il silenzio. O
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