“Attualmente la probabilità di una eruzione vulcanica è relativamente bassa, proprio perché non vi sono evidenze di risalita di magma verso la superficie”.
È quanto si legge in una ricerca che fa il punto sui recenti eventi della caldera Flegrea, l’area vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli, a cura di Mauro Di Vito, Francesca Bianco e Carlo Doglioni, rispettivamente direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, direttrice del dipartimento Vulcani dell’Ingv e presidente dell’Ingv.
In questi mesi, come riportato nell’ultimo bollettino settimanale di sorveglianza vulcanica (relativo ai dati rilevati dalle reti di monitoraggio dell’Ingv Osservatorio Vesuviano tra il 14 e il 20 agosto 2023), il valore medio della velocità di sollevamento nell’area di massima deformazione è aumentato a circa 15±3 millimetri al mese.
In particolare, nelle ultime settimane, come riportato nello stesso bollettino, si stanno verificando più frequentemente sciami sismici, come quello avvenuto il 18 agosto, con poco più di cento terremoti di magnitudo maggiore o uguale a zero, e magnitudo massima 3.6.
“L’area che si solleva è centrata sul Rione Terra (Pozzuoli, parte storica) o poco più a sud, e presenta – si legge – una deformazione radiale, in rapida attenuazione verso la periferia della caldera, con una forma ‘a campana’.
I valori di deformazione locale sono misurati attraverso una fitta rete Gnss e tiltmetrica, integrata con osservazioni satellitari. Dal 2005, e in particolare negli ultimi periodi, la forma della deformazione si è mantenuta simile, a testimonianza che il processo, e soprattutto la sorgente, non mostrano modifiche significative”.
Il processo di aumento di pressione del sistema geotermico sub-superficiale “è ancora in corso – si segnala – e determina una forte risalita di fluidi maggiormente concentrati nell’area di Solfatara-Pisciarelli”.
Ancora, gli ultimi sciami sismici dimostrano come il fenomeno “non mostri cambiamenti sostanziali, seppure avvenga con pulsazioni che si ripetono nel tempo.
La causa del sollevamento del suolo e quindi della sismicità può essere dovuta a una forte risalita di gas e una maggiore pressurizzazione del sistema idrotermale profondo: le rocce – spiegano dall’Ingv – sono sottoposte a sforzo, si fratturano e generano terremoti.
Un’altra possibilità è che si stiano iniettando nel sottosuolo delle piccole frazioni di magma alimentate dal sistema magmatico profondo, strutture cosiddette a sill, a circa 3-4 chilometri di profondità”.
La sismicità “è piuttosto concentrata nelle zone di massimo sollevamento e a una bassa profondità (fino a 3-4 chilometri, raramente 5) per l’alta temperatura della crosta terrestre sotto i Campi Flegrei che fa sì che sotto quelle profondità le rocce si comportino solo in modo visco-plastico.
I terremoti avvengono dunque prevalentemente nella stessa area e anche i loro meccanismi sono per lo più gli stessi”. I dati attualmente disponibili indicano, infine, come l’origine del sollevamento sia riconducibile “a una risalita, probabilmente pulsante, di fluidi di origine magmatica.
I fluidi si generano a profondità probabilmente superiori a 6-8 chilometri, all’interno di una vasta e articolata camera magmatica profonda presente sotto i Campi Flegrei, ipotizzata da vari tipi di studi e indagini indirette.
Da questo magma provengono le grosse quantità di gas che risalgono per gradienti di densità, e quindi di pressione, verso la superficie. In particolare, i gas interagiscono con le rocce superficiali e con il sistema idrotermale superficiale, presente nei primi 2-3 chilometri di profondità.
La sorgente di spinta, dedotta dalla modellazione della deformazione del suolo, sembra essere posta intorno a 4 chilometri”. La quantità di gas rilasciata è “ragguardevole: solo nell’area di Solfatara-Pisciarelli – si rileva – determina la fuoriuscita di oltre 3mila tonnellate di CO2 al giorno, in buona parte derivante dal degassamento magmatico profondo e dall’interazione del magma con rocce carbonatiche”.
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