di Gennaro Savio
Presso la Biblioteca Antoniana di Ischia la cui sala per l’occasione era gremita, è stata presentata l’ultima fatica letteraria della Dott.ssa Emilia Cece, psichiatra, psicoanalista e Dirigente del dipartimento di salute mentale dell’Asl Napoli 2 Nord.
Il libro dal titolo “Figlie del silenzio” andato a ruba nel corso della sua prima presentazione in cui il giornalista Ciro Cenatiempo ha dialogato con l’autrice, intende collocarsi nel filo rosso dell’insegnamento freudiano, riletto da Lacan e da Jacques-Alain Miller, per seguirlo in una prospettiva nuova verso il superamento del patriarcato.
Tre figure di donne vengono messe in luce: Gudrun Himmler, Monika Ertl ed Hilde Speer. Hanno in comune l’essere figlie di personalità di spicco dell’epoca nazista e l’essere donne che, per vie tortuose e singolari, furono orientate da un desiderio di riscatto del quale si servirono per sciogliere il legame oscuro tra crimine e silenzio ed accompagnare il passaggio della storia oltre l’epoca buia.
Oltre quell’epoca nazista che tante atrocità ha riservato al genere umano. Parla di libro-laboratorio la Dott.ssa Emilia Cece nel descrivere il suo ultimo lavoro letterario.
“Le figlie del silenzio – ha dichiarato ai nostri microfoni la Dott.ssa Cece – è un libro laboratorio nato dall’esigenza della psicoanalisi di offrire qualcosa di fruibile e di trasmissibile anche a persone non del mestiere che vivono il disagio della vita contemporanea. Poiché la psicoanalisi ha un valore sociale, etico e politico, si inserisce come un rimedio nell’ambito della società che attualmente è in seria difficoltà rispetto agli aspetti della comunicazione, dei ruoli, dei legami. Il testo mette in rilievo l’importanza di saper cogliere il limite del linguaggio.
Parte da una metafora, da ciò che nella letteratura del dopoguerra rappresenta il racconto del Campo di Concentramento, gli aspetti dell’impossibile a dirsi, e quindi della portata di reale, che ha investito l’umanità attraverso passaggi all’atto. Esamina la guerra considerata come grave passaggio all’atto. Parte da esperienze relative alla seconda guerra mondiale, precisamente dall’uscita dalla seconda guerra mondiale, dai campi di concentramento e dalla cenere di ogni discorso per riagganciarsi all’esigenza di un nuovo discorso sociale, a ciò che si era perso e che si era frammentato con la distruttività della guerra.
Coglie poi l’importanza della valorizzazione del ruolo femminile per riagganciare, nella differenza e nell’originalità creativa di ogni donna, il discorso sociale ad un’etica nuova. Perché ogni donna, anche nel proprio piccolo, vive questa difficoltà di confrontarsi con i discorsi e il discorso tra le due parti fondamentali su cui si fonda anche la coppia e la famiglia: il maschile ed il femminile , discorso complesso questo che va incontro a rotture. Quindi sull’onda di questo crinale, dalla guerra e dal passaggio all’atto, al femminicidio, ai nuovi sintomi e a tutto ciò che giunge all’osservazione della psicoanalisi, il libro come un laboratorio propone di rileggere e di rivalutare tutto secondo l’insegnamento di Jacques Lacan, alla luce della funzione politica e sociale della psicoanalisi”.
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