Le autorità greche hanno arrestato 11-12 persone accusate di essere gli scafisti dell’imbarcazione di migranti naufragata a Pylos. Lo riporta la Bbc citando la tv pubblica greca Ert.
Secondo i media greci si tratterebbe di persone di origine egiziana, identificate dai migranti soccorsi che hanno pagato tra i 4 mila ed i 6 mila dollari ciascuno per il viaggio in cui molti di loro hanno trovato la morte. Non è da escludere – scrivono i siti – che il numero degli arresti aumenti nelle prossime ore. Gli imputati, secondo le informazioni della Guardia Costiera, sono già stati portati in procura.
La barca sarebbe partita dall’Egitto, avrebbe fatto tappa in Libia per poi proseguire verso l’Italia. Finora sono 78 i morti accertati nel naufragio mentre 104 persone sono state salvate. Si teme però che il numero dei morti possa salire fino a quasi 600, visto che a bordo della barca naufragata viaggiavano secondo le stime oltre 750 persone.
Passano le ore e il mare non restituisce altri corpi dopo i primi 78 riportati mestamente sul molo di Kalamata mercoledì. Ma il naufragio a Pylos, nel sud del Peloponneso, è ormai destinato ad entrare nella storia come una delle peggiori tragedie di migranti nel Mediterraneo con un bilancio che rischia di registrare “fino a 600 morti”, molti dei quali non saranno mai ritrovati.
E a diventare una vera e propria strage di bambini. Ce n’erano “almeno 100 chiusi nella stiva”, raccontano i superstiti ai medici e ai volontari che li assistono. Cento vite innocenti rimaste intrappolate nella pancia del peschereccio sprofondato negli abissi dell’Egeo.
Mentre le autorità greche – travolte dalle polemiche sulla mancata risposta agli Sos lanciati dal peschereccio Adriana, una barca fatiscente, un cimitero galleggiante – non si sbilanciano, sono i soccorritori a dare le prime stime della tragedia.
“E’ possibile ci siano fino a 600 morti”, spiega Manolis Makaris, il medico responsabile dell’ospedale di Kalamata che ha raccolto i primi racconti dei sopravvissuti, tenuti lontani da telecamere e giornalisti.
“Tutti mi hanno confermato che a bordo c’erano 750 persone, tutti hanno fatto questo numero”, prosegue ricordando che finora 78 sono stati i corpi recuperati e solo 104 le persone tratte in salvo, tutti uomini tra i 16 e i 40 anni – eccetto una donna – provenienti da Egitto, Pakistan e Siria.
“Un paziente mi ha parlato di un gran numero di bambini, circa 100 nella stiva”, aggiunge poi il dottore lanciando un ulteriore drammatico allarme. Mentre ancora si prova a fare una stima dei morti non si arresta lo scontro sulle responsabilità del disastro, con ricostruzioni che differiscono tra loro.
L’attivista Nawal Soufi racconta di aver ricevuto, tra le prime, la richiesta di aiuto: “L’abbiamo segnalata alle autorità greche nelle prime ore del 13 giugno. I migranti viaggiavano da cinque giorni ormai senza acqua e con a bordo sei cadaveri”.
La situazione si sarebbe complicata quando “una nave si è avvicinata all’imbarcazione, legandola con delle corde su due punti della barca e iniziando a gettare bottiglie d’acqua”, mettendo così in pericolo i migranti che temevano “che le risse a bordo per accaparrarsi l’acqua potessero causare il naufragio” e per questo si sono allontanati.
Non c’era poi, secondo l’attivista, la volontà di continuare il percorso verso l’Italia a tutti i costi, come riferito invece dalla Guardia costiera ellenica che sostiene che i migranti avevano “rifiutato qualsiasi assistenza dichiarando di voler proseguire il viaggio” verso le coste italiane.
Versione peraltro già smentita ieri da Alarm Phone, secondo cui i greci “erano ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata e inadeguata” ma “non è stata avviata un’operazione di salvataggio”. E che oggi gli stessi sopravvissuti mettono in discussione: “Tre superstiti ci hanno raccontato che l’incidente è avvenuto quando la Guardia Costiera greca ha agganciato il peschereccio con una corda e stava provando a trainarlo.
Allora, senza un apparente motivo, il peschereccio si è ribaltato”, ha dichiarato Kriton Arseni, rappresentante di Mera25. Le autorità marittime di Atene, però, spiegano che il motore dell’imbarcazione ha ceduto poco prima delle 23 di martedì e che questa si è poi rovesciata, affondando in circa 10-15 minuti.
Per l’ammiraglio Nikos Spanos sarebbero stati i trafficanti a provocare “deliberatamente l’inclinazione che ha portato all’affondamento della nave”. Il peschereccio avrebbe potuto rovesciarsi anche se la guardia costiera avesse tentato di fermarla con la forza, rimarca il comandante e portavoce della Guardia costiera greca Nikolaos Alexiou, che sottolinea come “non si può deviare con la forza un’imbarcazione con così tante persone a bordo, a meno che non ci sia cooperazione”.
Anche il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano martedì aveva ricevuto un’e-mail che indicava un barcone in difficoltà con a bordo circa 750 migranti e, accertato che si trovava nell’area di responsabilità greca, aveva contattato subito la Guardia costiera ellenica, fornendole tutte le informazioni utili per le operazioni di soccorso.
Mentre il Papa si dice “profondamente costernato nell’apprendere del naufragio con la sua devastante perdita di vite umane” e il capo dell’agenzia europea Frontex, Hans Leijtens, è già nel Paese, le indagini per capire le dinamiche della tragedia sono partite, così come quelle per individuare gli scafisti tra coloro che sono stati portati in salvo.
Le autorità di Atene hanno già arrestato circa 12 persone di origine egiziana accusate di essere i trafficanti, che si sarebbero fatte pagare tra i 4 mila e i 6 mila dollari per ogni migrante per quello che è diventato il viaggio della morte.
Fino a venerdì sarà lutto nazionale in Grecia, ma questo non interromperà un business fondato su migliaia di decessi. Come quelli della peggiore tragedia di migranti nel Paese del giugno 2016, quando almeno 320 persone vennero dichiarate morte o disperse in un naufragio vicino a Creta.
O come il peggior disastro del Mediterraneo dell’aprile del 2015, quando quasi un migliaio di migranti andarono a picco sul loro peschereccio e non furono mai più trovati nel Canale di Sicilia. Dopo anni le cose non sono ancora cambiate.
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