“La camorra. Un’oscurità nella quale ogni cosa perde colore, per sempre”. La famiglia ha un ruolo centrale nella vita di ogni camorrista, un luogo sacro da dover proteggere ad ogni costo.
Le alleanze, non di rado, sono rafforzate da matrimoni tra giovani di clan diversi, con le donne che assumono sempre più spesso ruoli di rilievo soprattutto in assenza dei mariti o dei figli.
Molte donne di camorra si dimostrano spesso più spietate degli uomini, costruiscono veri e propri imperi, insegnando ai loro eredi valori come odio e vendetta facendo sì che la giustizia personale prenda il posto di quella istituzionale per tutelare e risanare l’onore ferito.
Favoreggiamento, assistenza ai latitanti, mediatrice tra le carceri, lotto clandestino, usura, contrabbando, traffico di droga, si potrebbe parlare in certi casi di “matriarcato” della camorra.
Probabilmente tutto ebbe inizio proprio con il contrabbando di sigarette, in quel periodo queste affinano le loro attività nel malaffare, usanza che si praticava nel passato, tra i vicoletti della città partenopea (indimenticabile l’interpretazione della grande Sofia Loren, nel film di De Sica, in “Ieri, oggi, domani”)
Donne dal forte temperamento, che non accettano di essere relegate in casa. Moderne, appariscenti, che investono di sfarzosità non solo il loro modo di abbigliarsi e di acconciarsi, ma anche nell’arredare le loro magioni.
Diventare la moglie di un camorrista per molte era ed è tutt’oggi una sorta di investimento per il proprio avvenire, tuttavia entrare a far parte di questo girone Dantesco le rende intoccabili, sacre. Soprattutto la figura materna, colei che è la procreatrice degli eredi.
Teresa De Luca Bossa, Rosetta Cutolo, Pupetta Maresca, a “Miciona” sono solo alcune tra le varie figure che hanno tinto di rosa la camorra.
Non tutti sanno che la prima donna ad aver inaugurato questa nuova corrente, va ricercata tra i grigi ed imponenti palazzi del Lotto 0 di Ponticelli, in un’epoca in cui regnava una camorra ben diversa e lontana da quella odierna.
Teresa De Luca Bossa “Donna Teresa”: “Lady camorra”, prima donna-boss della storia della criminalità organizzata napoletana. Moglie di Umberto De Luca Bossa, madre di Antonio, noto come “Tonino o’ sicc” che dopo “la gavetta” iniziale, diviene il killer spietato e sanguinario del clan Sarno, fonda il suo cartello criminale che si identifica proprio nel plesso “P4” del Lotto 0 di Ponticelli.
Quando Tonino finisce in manette sua madre assume il pieno controllo del clan e lo fa da vera “capa”, nel nome della vecchia camorra, un mix letale di violenza e diplomazia. Dopo un primo arresto avvenuto con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso ed 8 anni di reclusione, dei quali una parte passata in regime duro, tornata in libertà riprende da ciò che aveva iniziato. Finirà nuovamente in carcere al regime di 41bis, quello predisposto per i terroristi, trafficanti di esseri umani e mafiosi.
Rosetta Cutolo: sorella maggiore del camorrista Raffaele Cutolo. Maestra elementare prima, punto di riferimento per tutti gli affiliati poi. Gestiva la contabilità delle estorsioni realizzate dai “capizona” e provvedeva ad assistere legalmente ed economicamente le famiglie dei carcerati.
Inoltre, teneva un minuzioso elenco degli affiliati conservato in una nicchia ben nascosta nel Castello Mediceo di Ottaviano, storica struttura del XVI secolo. Imputata in diversi processi, il 12 settembre 1981 scampò all’arresto in seguito ad un blitz della polizia. Cominciò una lunga latitanza con l’aiuto di don Giuseppe Romano, sacerdote confessore della famiglia e di altri membri della “Nuova Camorra Organizzata”. L’8 febbraio 1993 si costituì, accusata di associazione mafiosa, dopo sei anni tornò ad Ottaviano, dove vive attualmente.
Assunta “Pupetta” Maresca: moglie del boss Pasquale Simonetti (“Pascalone ‘e Nola”) e sorella di Ciro Maresca (“Lampetiello”). Protagonista di uno degli episodi più eclatanti della storia della camorra. Rimasta vedova pochi mesi dopo il matrimonio, poiché suo marito fu ucciso da un sicario, al sesto mese di gravidanza decise di farsi giustizia da sola uccidendo il mandante dell’omicidio: Antonio Esposito, nonché suo testimone di nozze.
Secondo gli inquirenti, i colpi partirono da almeno quattro pistole. Secondo quanto ricostruito, l’omicidio fu associato alla guerra di potere della camorra pre-cutoliana per la gestione dei prezzi del mercato ortofrutticolo. Il 14 ottobre del 1955, la Maresca fu arrestata e condotta nel carcere di Poggioreale. Nel corso della sua detenzione partorì il primo figlio, Pasqualino, in memoria del marito defunto.
Condannata a 13 anni e 4 mesi per omicidio, fu graziata dopo oltre 9 anni di detenzione. Scarcerata dopo 10 anni, si lega ad Umberto Ammaturo, uno dei principali narcotrafficanti degli anni ‘80; nel 1974 il figlio ormai 18enne sparisce nel nulla: si pensò che fosse stato ucciso per ordine di Ammaturo, anche se le successive indagini non riuscirono mai a dimostrarlo.
Raffaella D’Alterio “A’ miciona”: a dispetto del suo nome, in affari era tutt’altro che tenera come un gattino. Dopo la morte del marito, nonché boss, Nicola Pianese, prende in mano il comando della cosca. 50enne, decisa e carismatica con al fianco la convivente Fortuna Iovinelli, detta “a’ masculona”.
Entrambe sono sfuggite alla morte in due diversi agguati messi a segno dal gruppo rivale, quello dei De Rosa. Alla guida di una sanguinosa guerra di camorra contro una cosca avversa, era lei a tirare le fila del gioco malavitoso della famiglia. Ordinava omicidi ed incassava il pizzo.
È stata, in seguito, la punta di diamante dei 66 arresti effettuati dai carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna in provincia di Napoli. Nell’operazione furono sequestrati beni per oltre 10 milioni di euro: sette società, otto appartamenti, 87 veicoli tra auto e moto e 35 conto correnti bancari. Nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare spunta anche una Ferrari 360 Modena con tanto di targa d’oro che la figlia di Raffaella, Costanza, aveva regalato al fidanzato.
Cristina Pinto “Nikita”: come la spietata “sicaria” del film di Luc Besson. Operava insieme al compagno Mario Perrella, nei quartieri di Pianura e Soccavo. Partecipò ad almeno tre agguati, organizzò le spedizioni contro i “nemici”, procurò le armi e curò la base logistica di alcuni agguati di camorra. Fu scovata in un appartamento, in via Oriani 2, insieme alla figlia di tre anni.
Era ospite da un uomo di fiducia del clan, Raffele Mirabella. Un collaboratore di giustizia, Buonocore, disse di lei: “Nikita era capace di qualsiasi azione delittuosa, particolarmente impegnata in quelle che richiedono l’uso delle armi “. Oggi Cristina Pinto ha scontato la sua pena ed ha collaborato con la giustizia, ma come dichiara lei stessa, senza mai pentirsi.
Quindi in quel mondo dove il bianco ed il nero convivono inesorabilmente, non lasciando spazio ad altre sfumature, vi sono sprazzi di un tenue rosa, che di candido ha poco. Letale come una seducente rosa ricolma di spine.
Francesca Esposito
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